L'operazione di terra è (ormai) inevitabile: estesa a tutto il Libano e chiusa entro ottobre

Non basta bonificare 30 km fino al Litani. Obiettivi: Bekaa, Beirut e confine siriano

L'operazione di terra è (ormai) inevitabile: estesa a tutto il Libano e chiusa entro ottobre
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Per capire quale sarà il prossimo passo d'Israele e perché un'operazione di terra in Libano sia inevitabile bisogna partire da un dato di fatto. L'eliminazione di Hassan Nasrallah non era il fine, ma il mezzo della strategia israeliana. Un mezzo diventato imprescindibile per tre motivi.

Il primo era l'imperdibile opportunità offerta dalla scoperta del bunker utilizzato dal Segretario Generale in quel di Beirut.

Il secondo era la necessità di rispondere con un livello di deterrenza implacabile ai primi missili a lungo raggio caduti su Haifa e altri territori israeliani.

Il terzo era ottenere l'arretramento di Hezbollah fino al corso del Litani, trenta chilometri più a Nord del confine, come previsto dalla risoluzione 1.701 del Consiglio di Sicurezza Onu che mise fine alla guerra del 2006. La terza ragione era, e resta, la meno calzante. Accettare una ritirata dopo l'uccisione del proprio leader equivale, nella logica mediorientale, a perdere la faccia. Un'umiliazione inaccettabile sia per Hezbollah, sia per quella Repubblica Islamica considerata la tutrice del Partito di Dio.

Dunque le dichiarazioni dei portavoce israeliani pronti a smentire l'ineluttabilità di un'invasione appaiono più obbligate che fondate. Anche perché un'operazione militare prima s'inizia e poi s'annuncia. E visto che difficilmente Hezbollah si ritirerà a Nord del Litani un'avanzata di Tsahal in territorio libanese resta l'unico modo per garantire il ritorno a casa di 60mila sfollati israeliani. Un ritorno considerato una priorità strategica sia dal premier Benjamin Netanyahu, sia dai vertici militari. Ora però bisogna capire la profondità e la durata dell'imminente operazione di terra. I movimenti di truppe segnalati al confine sono soltanto il preludio dell'avanzata. Si tratta, con tutta probabilità, di infiltrazioni condotte dalle forze speciali di Sayeret Matkal o Yahalom (unità d'elite del Genio Militare) per individuare i sotterranei di Hezbollah, i depositi di armi e le postazioni missilistiche sfuggiti fin qui alle ricognizioni aeree. Soltanto dopo aver localizzato queste infrastrutture ed eliminato la maggior parte dell'apparto missilistico nemico Tsahal potrà iniziare un'estesa penetrazione nel Sud del Libano.

Ma per quanto demoralizzato e decimato a livello di comando Hezbollah resta un osso duro. I suoi 40mila combattenti sfruttando i sotterranei, le boscaglie e le alture del Paese dei Cedri sono in grado di dar filo da torcere ad una macchina militare israeliana costretta, nel contempo, a garantire il controllo della situazione al confine con la Siria, a Gaza e in Cisgiordania.

Senza contare - come dimostra il bombardamento di ieri sul porto di Hodeida - la necessità di rispondere agli attacchi di altre milizie filo iraniane. Un'altra incognita riguarda la profondità dell'intervento israeliano. Spingere Hezbollah trenta chilometri più a Nord non basterà a fermare il lancio di missili capaci di colpire a centinaia di chilometri di distanza. Quindi per neutralizzare Hezbollah Israele dovrà inevitabilmente estendere le proprie operazioni a tutto il Libano.

Il che significa spostare il raggio d'azione dal Sud fino alla valle della Bekaa senza tralasciare i quartieri di Beirut controllate dal Partito di Dio e quelle montagne al confine con la Siria dove i miliziani sciiti hanno operato durante la guerra civile in Siria. E qui entra in gioco il fattore tempo.

Le piogge di novembre e dicembre rischiano di rallentare e impantanare l'avanzata di Tsahal bloccandolo su un territorio poco conosciuto dove Hezbollah può facilmente avere il vantaggio dell'iniziativa. Un incubo che nel 2000 spinse l'allora premier Ehud Barak a decidere il ritiro dal sud del Libano.

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