Elena Pontiggia
Il 16 agosto 1916, più o meno novantanni fa, moriva dalle parti di Verona Umberto Boccioni. Scompariva al fronte, ma non in unazione di guerra. Si era trattato di un incidente tragico e banale. Mentre trasportava delle vettovaglie nelle retrovie il cavallo si era impennato, laveva disarcionato e calpestato.
Moriva così, a solo trentaquattro anni, uno dei maggiori artisti europei del Novecento. E davvero il destino si era accanito contro di lui, facendolo morire per una caduta da cavallo, lui che era stato il più appassionato interprete della velocità, del rapido mondo industriale, e aveva dipinto i più bei cavalli della pittura italiana moderna, impennati come onde di colore.
Lattuale mostra su Boccioni, aperta a Palazzo Reale fino al 7 gennaio a cura di Laura Mattioli Rossi (catalogo Skira), si concentra sul Boccioni scultore. È dunque, per così dire, una mostra in bianco e nero, che esplora soprattutto aspetti meno noti dellartista, come appunto la ricerca plastica. Dire Boccioni significa naturalmente parlare del futurismo. Nel 1910, infatti, Boccioni, che aveva allora ventotto anni, conosce a Milano Marinetti, fondatore del movimento, e stila sia il Manifesto dei pittori futuristi che il Manifesto tecnico della pittura futurista. Il primo, sottoscritto anche da Carrà, Russolo, Balla e Severini, rivendica il diritto di sopprimere il culto del passato e di ribellarsi contro la tradizione classica. Non bisogna imitare lantico, ma rappresentare il nuovo, la società moderna, la civiltà industriale, dicono i pittori futuristi. E citano tra i loro modelli Segantini e Previati, Medardo Rosso e Rodin. È però nel Manifesto tecnico, firmato ancora dagli stessi cinque artisti, che la poetica futurista si definisce più precisamente. Lidea centrale, che sembra mutuata da Eraclito, afferma limportanza fondamentale del dinamismo: «Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido». Da questa tesi deriva la convinzione che una figura non debba essere rappresentata immobile, ma in movimento: di conseguenza le sue singole parti devono mescolarsi con lambiente che le circonda.
Anche la scultura boccioniana, organicamente documentata nella mostra che raccoglie appunto le quattro sculture rimaste dellartista, si ispira a questi principi. Una sezione nella rassegna, poi, è dedicata al rapporto con Margherita Sarfatti, che Boccioni conobbe intorno al 1909.
Del 1910 è lAntigrazioso, dove una figura di donna (la Sarfatti appunto, è lipotesi di Laura Mattioli), scrive seduta al tavolo, lo sguardo pensoso, il volto appoggiato alla guancia, nel silenzio della sera.
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