Bonino-Polverini, le candidate sbagliate

Le sfidanti nel Lazio non piacciono agli schieramenti che dovrebbero rappresentare. Gli errori di Pd e Pdl. L’idea di "inventare" liste trasversali ideologicamente omogenee ai loro capi

Bonino-Polverini, le candidate sbagliate

«Oh gran bontà de’ cavalieri antiqui», veniva poetando Ariosto. E oggi quel verso mi ritorna alla mente pensando al gesto cavalleresco di Renata Polverini nei confronti di Emma Bonino, colpita da un malore durante una seduta del Senato. L’attenzione, la gentilezza, la premura della Polverini sono un buon segnale nello spazio della politica dominata da scontri furibondi anche all’interno della stessa coalizione, come si è visto e si vede in Puglia, nell’avvicendamento di duelli tra Vendola ed Emiliano e oggi tra Vendola e Boccia. Ma la rissosità e il prevalere di bande nell’ambito di una stessa coalizione si vede anche in Umbria e, sotto traccia, in Campania, in Calabria. Prevalentemente, ma non solo, a sinistra, se si riflette alle tensioni fra il governatore del Veneto e il suo candidato successore.
Tutto appare diverso, anche nella disciplina dei partiti in Lazio, dove assistiamo al civile scontro di due donne. Si è detto, all’inizio, dei buoni rapporti personali documentati dall’attenzione di una Polverini verso l’antagonista malata; ma si ha la sensazione che questo atteggiamento non sarà diverso dello scambio di idee e nel rispetto reciproco delle due donne al confronto dei programmi, come se le loro personalità, e le loro visioni individuali prevalessero sull’appartenenza e le differenze politiche. Troppo simili o troppo autonome per consentire una scelta che rassicuri chi si identifica con una visione del mondo. E già, infatti, i primi contrasti si riaffacciano all’interno della stessa coalizione.
È la Binetti a dichiarare: «Farò campagna contro la Bonino... la sua candidatura è un’eutanasia. Se vince lascio il Pd». Una dichiarazione di forte, irriducibile contrapposizione, che la stessa Polverini non avrebbe fatto. D’altra parte nel centrodestra vi sono sensibilità particolarmente vicine alla Bonino che è distante non solo dal Pd della Binetti, ma anche da quello di D’Alema, di Bersani, e degli ex comunisti, filopalestinesi ed antiamericani. Né va dimenticato che la Bonino fu commissaria all’Unione europea, ruolo fiduciario come quello di un ministro, su designazione di Berlusconi.
Come sappiamo, vi sono sensibilità, anche tra i collaboratori di questo giornale, certamente più vicine alla Bonino che alla Polverini. Lo stesso direttore Feltri s’è distinto per un fondo molto critico nei confronti della Polverini, non solo per le caratteristiche del suo impegno sociale e politico, ma anche per una vicinanza conclamata con Gianfranco Fini. D’altra parte, il paradosso è anche più elaborato se è vero che in alcune recenti posizioni in temi di bioetica, fecondazione assistita, testamento biologico, immigrati Gianfranco Fini è molto più affine alla Bonino che a gran parte degli esponenti del centrodestra e soprattutto della Lega.
Da questo complesso intreccio di consonanze più forti delle differenze cresce una sostanziale somiglianza delle due candidate, più simili fra loro che alle loro coalizioni. Verrebbe da pensare che ci sono molti elettori che potrebbero votare indifferentemente entrambe ma che non voterebbero mai alcuni dei movimenti che le sostengono. Insomma da una parte la Binetti, che potrebbe votare la Polverini, dall’altra Feltri, che potrebbe votare la Bonino non rinunciando a riconoscersi né l’una nell’area del centrosinistra né l’altro nell’area del centrodestra. Con ciò stabilendo una congenita contraddizione negli schieramenti che si potrebbe sanare immaginandole piuttosto alleate che contrapposte.
Sta dunque iniziando un’epoca di candidati senza partiti? Di persone che non sono espressione di ideologie definitive? È sicuramente una situazione curiosa. Si potrebbe, con ciò, concludere che sono due candidate sbagliate, insoddisfacenti per chi, come la Binetti si riconosce in principi e in valori che la Bonino non rappresenta anche se universalmente stimata. La Polverini, d’altra parte, con la sua somiglianza con il sorprendente Fini dell’ultima stagione, ma con la coerenza di chi non è espressione di un partito, rischia di apparire più gradita agli ambienti della sinistra e al mondo del sindacato che agli elettori tradizionali del centrodestra.
Per quale ragione scegliere l’una o l’altra? E non può apparire sospetta l’immediata adesione dell’Udc che, altrove, ammicca al centrosinistra? Insomma proprio per la natura fluida, ideologicamente inafferrabile della Polverini, ho dato la disponibilità a un movimento denominato «Rete liberal» per sostenere con una lista la Polverini, trovando l’immediato entusiasmo di giovani come Riccardo Lucarelli e il suo gruppo che erano molto inquieti rispetto al Pdl.
Quando, qualche settimana dopo, i radicali hanno candidato la Bonino e, nelle ultime ore, il Partito democratico ha deciso di convergere sul suo nome, mi è venuta un’idea bizzarra rispettosa sia della personalità delle candidate, sia della loro autonomia dai partiti: fare una lista identica, simmetrica, di sostegno alla Bonino, con le stesse ragioni liberali. Un paradosso, ma senza contraddizioni. Non finirà così, ma la stessa Polverini faticherebbe a rimproverare un suo sostenitore che decidesse di votare la Bonino. Così, per concludere, arrivato a Bordighera, molto lontano dal campo di azione delle due contendenti, ho raccontato l’articolo che stavo scrivendo e ho chiesto, a un pubblico distante e distaccato, che si esprimesse sulle due candidate.

Presumo che il pubblico fosse prevalentemente di centrodestra, anche se senza appartenenze obbligate, e il risultato è stato, sostanzialmente un pareggio. Cosa che faranno di fronte a queste due donne capaci gli elettori del Lazio. Forse si apre una stagione nuova, con vantaggio per tutti: le persone prima dei partiti.

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