Un borghese piccolo piccolo fra i drammi nel Ventennio

C’è una sorta di «basso continuo» che percorre, costante, l’accidentato cammino - attraverso la prima metà del Novecento: dagli anni Venti ai Quaranta - dell’eponimo personaggio-emblema cui s’impronta il racconto di Enrico Micheli Italo (Sellerio, pagg. 192, euro 10). Un tale elemento narrativo si fa palese e avvertibile specialmente allorché tende a temperare «una vita da fascista» con coloriture, intrusioni sentimentali soverchiamente longanimi.
Italo, dunque, nei primi anni Venti è un giovane borghese, velleitariamente dedito all’arte e a un treno di vita edonistico, vacuo, che al sorgere del fascismo più ribaldo e violento sceglie di imbrancarsi a quel movimento, animato dall’incauta idea che da quella parte si possa «rigenerare» l’abusata routine d’una società malata di inerzia e di conformismo. Il passo di Italo sembra davvero gratificarlo sul piano personale e sociale - la guerra d’Africa lo trova infatti in prima fila quale presunto «costruttore dell’Impero» -, pur se di quando in quando s’insinua nel Nostro l’inquietante sospetto che una tale avventura bellica preluda ad approdi non proprio edificanti.
Rientrato in patria e ripreso il tran-tran della vita borghese (i genitori sempre scettici, la moglie già disamorata), Italo si dedica distrattamente alla pittura e a una milizia politica più che svogliata. Ma due fatti traumatici imprimono alla vita di Italo un soprassalto drammatico: la repentina morte dell’amata figlioletta e l’improvvida, sempre più serrata complicità di Mussolini con la dissennata politica d’aggressione di Hitler. Di lì a poco, si arriva alla guerra. Italo, una volta di più disorientato da azzardate previsioni, s’arruola volontario per la campagna di Russia. E soltanto allora, in quell’annientante débâcle, comincia a ravvedersi dei suoi errori.
Scampato all’assideramento, dopo una fuga disperata, si ritrova inconsapevole in una tetra Vienna, ove Elena, giovane combattente ebrea antinazista, lo soccorre amorevolmente. Finalmente a casa, sul finire del conflitto, Italo ricupera affetti e quiete famigliari ritrovando persino un figlioletto creduto morto.
E visse così... con quel che segue.

Va detto, infine, che a rendere più improbabile quest’intricata, prevedibile odissea, Enrico Micheli mette in campo in Italo ricorrenti capitoletti (in corsivo) sulla passione e morte di Mussolini raccontate da lui medesimo. Davvero, troppa grazia.

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