Attilio Ventura ci ha lasciati ieri, 5 dicembre, proprio quando l’indice della sua Piazza Affari superava quota 30mila punti per la prima volta da 15 anni a questa parte. Lui, Attilio, di anni ne aveva 87, uno di più dell’amico e compagno fraterno di Borsa e di alta montagna Ettore Fumagalli, scomparso solo tre mesi fa. Ai suoi funerali, nella basilica milanese del Corpus Domini, Ventura aveva preso la parola per ricordare storie e aneddoti dell’epoca d’oro degli agenti di cambio, di cui era ormai il decano. Lo sapeva e, alla fine delle esequie, seduto sul muretto del sagrato, circondato dagli amici, con tutta l’ironia di cui era capace e l’inconfondibile cadenza milanese lo aveva detto: «Il prossimo sono io». In realtà Attilio non si è più ripreso dalla morte di Ettore. L’aveva presa proprio male e dopo meno di due settimane un problema cerebrale lo ha costretto a un ricovero da cui non è più riuscito a recuperare.
Presidente del Comitato direttivo degli Agenti di cambio dal 1988 al 1992 e poi, fino al 1997, presidente del Consiglio di Borsa, futuro cda dell’attuale Borsa spa: con lui scompare l’ultimo pezzo di una Piazza Affari che non c’è più, quella delle grida nel salone di Palazzo Mezzanotte che proprio Ventura, con Fumagalli e qualche altro mostro sacro del listino, ha contribuito a trasformare in un mercato telematico e immateriale, scrivendo le leggi che hanno introdotto le «Sim» e decretandone così la fine a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta del secolo scorso. Per quel mercato azionario un po’ selvaggio, poco vigilato e quasi off limits per il risparmio di massa (che preferiva i Bot), Ventura è stato a lungo un protagonista delle operazioni più delicate di quegli anni. E pure misteriose: insieme con altri 5 o 6 agenti del suo calibro faceva parte dell’“angolo dei cervelli”: «Poco prima delle 13 - raccontava lui stesso divertito - ci mettevamo in circolo a parlare, in mezzo alle grida.
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