Bossi canta vittoria Ma la base non ci sta: "Paga solo il Nord"

Maroni irritato, ma il bilancio del Viminale è salvo. Calderoli duro: "Chi fa distinguo fuori dal partito"

Bossi canta vittoria  
Ma la base non ci sta: 
"Paga solo il Nord"

Roma - Hai voglia a dire «salvate le pensioni», come cerca di fare il quartier generale via la Padania, organo ufficiale e come ripete Umberto Bossi, nel suo comizio a tarda sera ad Avio (Trento): «Non si toccano, sennò faccio saltare il governo». La Padania vera e propria, quella degli elettori leghisti, e anche quella di molti eletti (nei comuni, nelle regioni, e persino in Parlamento), è furibonda. «Chi paga questa manovra? Quelli che pagano le tasse. E chi le paga? Il Nord. Pensare che l’abbiamo fatta noi della Lega mi vien male...» confessa un pezzo grosso della Lega in Lombardia. Il vero pensiero si svolge nell’anonimato dei colloqui privati, negli sms che arrivano a deputati e senatori della Lega dai militanti delle loro sezioni. Messaggi duri, che riprendono il filo della Pontida che a Bossi urlava, interrompendolo, «secessione». Così non va, la colpa è di Tremonti (altro bersaglio degli sms leghisti), anche se il Senatùr rivela: «Ha trovato il modo di sostituire il Tfr per dare ai lavoratori un doppio stipendio mensile». Ma per la base il capo è troppo schiacciato sulla linea del Pdl e del ministro dell’Economia. «Fa il ganassa, ma poi abbassa la testa» dice un altro dirigente leghista. Sono cose che si fatica a dire al telefono, perché la critica al capo è una specie di tabù celtico, un reato di lesa maestà per la psiche padana.
Il piccolo trofeo di Bossi è poca cosa di fronte ai balzelli (camuffati da contributi solidaristici) ai soliti noti che mantengono il fisco italiano. La manovra dovrà passare dal Parlamento e non sarà una gita di piacere, neppure per i voti della maggioranza stessa. I parlamentari leghisti in queste ore si stanno consultando per capire se ci sono spazi di modifica seri, «se non ci sono, sarà dura trovare i voti» dice un deputato leghista.
Il fosso tra Lega di governo e Lega di lotta è sempre più profondo e coinvolge anche i molti governanti che saltano dall’altra parte. Ancora in forma sopita, tranne qualche voce isolata. Ma la maggioranza dei sindaci e degli amministratori, colpiti dal taglio dei trasferimenti, è nera, altro che verde. Roberto Maroni, che ormai ha incarnato la ribellione leghista alla Lega di poltrone, è stato silente in questi giorni. Ma chi lo ha sentito racconta di un Bobo in totale dissenso con le misure. Confortato soltanto dal fatto che al Viminale non è stato tagliato come ad altri ministeri. Per sapere cosa pensa Maroni conviene ascoltare quelli vicini a lui, tipo Flavio Tosi, sindaco veronese: «Tagliare ai Comuni è capace anche un bambino, solo che è una cosa miope. Bossi tenga duro e spieghi all’amico Giulio che sbaglia».
Nell’ala maroniana torna in auge la metafora della «spina da staccare», anche se tutti sono consapevoli che la Lega è in un perfetto cul de sac. «Con questa legge elettorale dove andiamo, se si vota prendiamo una batosta...» ripetono molti. Bossi-Calderoli-Reguzzoni, la cabina di regia leghista sulla manovra, insiste sulla parte construens del decreto. Le poltrone tagliate (54mila), la razionalizzazione di Comuni (da accorpare) e Province (da ridurre), i prelievi dalle indennità dei parlamentari e dalla casta in generale, l’anticipo del federalismo fiscale. Ma i lamenti del partito arrivano anche alle orecchie di Bossi e Calderoli, e quest’ultimo deve lanciare un messaggio: «La Lega ha fatto scelte sofferte e difficili, stando al governo e restandoci, pur di tutelare i cittadini dal rischio di perdere la pensione o di andare in banca e trovare i propri risparmi dimezzati. Chi fa dei distinguo dalla linea del movimento, dal consigliere comunale in su, sbaglia e se prosegue si può accomodare fuori». Destinatari vari, da Franco Zorzo, sindaco del piccolo comune di Tombolo, che parla di manovra «devastante» e di «fine di un sogno», ai più pesanti Tosi e Fontana, non nuovi a posizioni critiche e anche «all’esterno della Lega», anche «ai ministri, basta leggere i giornali, ci sono nomi e cognomi».

Vedi cioè Galan, vecchio nemico della Lega. Ma i mal di pancia dentro la Lega sono più preoccupanti. Nel frattempo, ma non da ieri, il forum di Radio Padania è chiuso. Troppo facile strumentalizzarlo. Ma difficile anche uscire dal cul de sac padano.

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