Bossi ordina la tregua: «Manovra irricevibile Stiamo uniti per il Nord»

RomaLe lotte intestine del Carroccio non si sono chiuse con un atto di forza del Capo (un commissariamento, un siluramento a freddo...), come qualcuno temeva. La segreteria politica convocata in via Bellerio ha sancito una tregua, armata, ma pur sempre tregua.
E un effetto inaspettato. Serrare i ranghi, non mostrarsi divisi, perché la Lega, per evitare una brutta china di faide interne e flop elettorali, deve tornare alle origini. Bossi non pronuncia la parola che Pontida gli ha ripetuto cinque volte, «secessione». Ma indica un cambio di passo deciso, che avrà ripercussioni nei rapporti di maggioranza. «Noi dobbiamo fare chiaramente gli interessi del Nord, la gente ci chiede questo» ha ripetuto il capo ai suoi colonnelli (dal Piemonte al Veneto) riuniti al secondo piano del quartier generale. «Interessi del nord», mentre il Carroccio viene accusato di egoismo per la vicenda dei rifiuti napoletani, e mentre si prepara il vertice di Palazzo Grazioli (dove andranno Bossi, Calderoli e Reguzzoni) sulla manovra di Tremonti. Il vero tema della segreteria politica leghista, messa in calendario proprio per questo ma nel frattempo caricata di altre aspettative, dopo le scintille tra colonnelli e «cerchio magico».
C’è stato un colloquio tra Bossi e Maroni, prima con altri, poi da soli per qualche minuto. Bobo ha spiegato al capo di non aver mai pensato di «togliere le prerogative del segretario federale», come l’indicazione dei capigruppo, e che la vicenda «gli è stata riportata male». Bossi non è entrato nell’argomento, l’ha lasciato in un angolo, per far capire che la cosa è rientrata, basta «non fare più casino». I maroniani però avvertono: «La leadership del segretario federale non è in discussione, quella di certi capetti sì...». La road map prevede i congressi, da convocare in autunno, a partire dal Veneto, poi la Lombardia. La famosa «conta» che dovrà chiarire i rapporti di forza. Maroni è ancora in guerra, ma dopo che Bossi dice «abbiamo fatto pace», non può permettersi un errore tattico, attaccando (infatti smorza tutto: «Con Bossi tutto ok»). Si attende, tanto «il tempo è dalla nostra parte» confida Bobo ai suoi.
Qualcosa di concreto è stato messo a punto nel vertice. Intanto la ratifica del cambio Reguzzoni-Stucchi, come capogruppo, entro dicembre (il varesino andrà al governo). Poi un documento che definisce i compiti di ognuno, per impedire le invasioni di campo e quindi il caos. Così sarà Maroni a decidere (con Bossi, ovviamente) la linea su «immigrazione e sicurezza», Calderoli quella sul federalismo, a Giorgetti competeranno le questioni economiche. Un punto a favore dei colonnelli che segnano il loro territorio rispetto al «cerchio magico».
Ma questa lotta interna passa sullo sfondo, la situazione più urgente riguarda la Lega di governo. Il senso è quello che Flavio Tosi, non presente alla riunione dei capi, ha espresso in modo rude: «Le richieste leghiste sono state chiarite nei giorni scorsi, hanno scadenze ben precise e Berlusconi deve impegnarsi a rispettarle. Altrimenti non ha senso stare in maggioranza insieme». La minaccia va calata nel quadro della manovra di Tremonti, che per Bossi è, al momento, «irricevibile». «Se resta così non possiamo farla passare» ha detto il segretario federale ai suoi.
Il punto, che si allaccia all’urgenza leghista di «fare gli interessi del nord», è il taglio ai trasferimenti agli enti locali, insostenibile per gli amministratori del Carroccio, e la modifica del patto di stabilità, ritenuta inadeguata. Meno soldi a Comuni, Province e Regioni. E quelli virtuosi? «Non avranno direttamente l’importo che gli spetta, perché sarà calato sulla Regione, e poi ci sarà una contrattazione tra enti locali per stabilire come assegnarlo» spiega un «economico» della Lega.

Insomma un meccanismo farraginoso che non avrà gli effetti che il Carroccio chiedeva a Pontida, quando parlava di rivedere il patto tra Comuni. La Lega non vuole che la fune (che la tiene al governo) si spezzi, come a Sesto Calende. Ma se la tiene troppo lasca poi deve fare i conti con la sua gente.

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