«Bpm e Modena, nozze a marcia indietro»

da Milano

«L’ho detto nel passato e lo ripeto ora: la fusione era un progetto interessante. Noi ci abbiamo creduto». Jean Jacques Tamburini, direttore generale del Crédit Industriel et Commercial, più o meno da quattro anni rappresenta il suo istituto nel consiglio di amministrazione di Banca Popolare di Milano. Il legame italo-francese è cementato da partecipazioni incrociate. I milanesi hanno circa l’1% del capitale del partner; il Cic il 3% delle azioni Bpm, oltre a una quota nella Banca di Legnano e obbligazioni convertibili per circa il 6% del capitale.
Negli ultimi mesi la banca di Parigi ha appoggiato le mosse di Mazzotta nel risiko creditizio italiano: prima la partecipazione alla gara per Bpi (quando il Cic si era offerto di rafforzare la struttura patrimoniale di Bpm convertendo in anticipo le proprie obbligazioni); più di recente il fidanzamento con la Banca Popolare dell’Emilia Romagna.
Eppure, al momento dell’ultimo voto, martedì scorso, non avete votato a favore ma vi siete astenuti. Come mai?
«Attenzione: la nostra astensione è stata semplicemente una presa d’atto che sul progetto non si era raccolto il necessario consenso. Alcuni tra i consiglieri hanno iniziato a pensare che l’operazione sarebbe stata bocciata in sede assembleare e hanno deciso di comportarsi di conseguenza, temendo di veder contraddetta una decisione favorevole. Da parte nostra non c’era un giudizio negativo su una aggregazione che abbiamo sempre appoggiato e sulla quale abbiamo in precedenza sempre votato a favore. Il significato strategico della fusione era di assoluto rilievo, anche se finanziariamente non era un grande affare».
A che cosa si riferisce?
«Il valore fissato per il concambio non era favorevolissimo. Ma quella del concambio era una considerazione di breve termine che abbiamo superato valutando appunto le sinergie per il futuro e gli interessi strategici in gioco. E sul medio-lungo termine sarebbe stata senza dubbio un’ottima operazione».
Eppure le difficoltà sono apparse notevoli sin dalle prime fasi del negoziato.
«Sì, è stata una fusione che andava a marcia indietro. Tra le parti gli aspetti difensivi hanno prevalso su quelli orientati allo sviluppo. Le due banche hanno cercato di mettersi insieme ma come due fidanzati che decidono di sposarsi rimanendo però a casa propria».
Quali sono stati gli elementi negativi che hanno pesato di più?
«Certo la specificità della struttura di Banca Popolare di Milano ha contato molto. E di questa specificità gli uomini di Modena sono sembrati avere timore».
E gli ostacoli sindacali?
«Non è certo una novità che i sindacati in Bpm abbiano un ruolo di primo piano. Ma è semplicemente un ruolo che va gestito».
E adesso che cosa succederà?
«Adesso la situazione esige grande cautela da parte di tutti. A qualcuno può sembrare di aver raggiunto una vittoria. Ma la verità è una sola: quello che è successo nell’ultima settimana non si sa dove potrà portare la banca».
Ora c’è chi vi attribuisce delle ambizioni sul vostro partner.

Voi che intenzioni avete?
«Il nostro non è mai stato un progetto di controllo, ma un progetto volto alla creazione di un network a livello europeo. Ora comunque si tratta solo di valutare e analizzare la situazione che si è creata».

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