Vinicio Capossela non le ha mai cantate così chiare.
«In effetti non ho mai scritto canzoni con testi più espliciti come in queste Tredici canzoni urgenti, anche se l'ho fatto per motivi privati che non rivelo».
Canzoni urgenti ci sta.
«Siamo in una fase di depressione che richiede l'urgenza».
Ma perché proprio 13?
«Senz'altro una di queste canzoni mi tradirà (ride - ndr). Lo sa che la paura del 13 si chiama triscaidecafobia? Forse tutto dipende dal fatto che il dodici è un simbolo dell'ordine e con il 13 si precipita nel disordine».
Tra «melodie sdentate» e «imbellettati di cultura», tra viola da gamba e ribeka in effetti c'è molto disordine nel nuovo disco di Vinicio Capossela, cantastorie inimitabile tanto è arruffato, geniale, futuristicamente tradizionale. Tredici canzoni urgenti è un'arrembante passerella di generi che oggi chi li suona più, dal waltz al jive, al cha cha cha, alla folìa del '500 e pure al dub che fa tanto anni '90. È una sorta di Elogio della follia alla maniera di Vinicio Capossela, un saggio esistenziale ma pure politico e amoroso di un artista di 58 anni che ha l'«urgenza» di spiegarsi e lo fa appellandosi ai pilastri della propria educazione, dal «lucido decodificatore della storia» Bertolt Brecht fino a Ludovico Ariosto che «nelle sue lettere da governatore della Garfagnana dimostra quanto è difficile per un artista fare l'amministratore». Nelle tredici canzoni urgenti di Capossela spuntano anche collaborazioni fantasmagoriche come quella con Sir Oliver Skardy dei Pitura Freska o con il maestro Raffaele Tiseo. Ma spunta soprattutto l'insostenibile fastidio per «l'incessante berciare della società dello spettacolo che è sempre più quella dell'algoritmo». Quindi solitudine digitale. Quindi fine dell'immaginazione. In sostanza, sono tredici canzoni urgenti ma meno difficili del solito perché terrene, concrete, per nulla svolazzanti come di solito piace cantare a questo teatrante vocale, a questo chansonnier senza tempo che sarebbe stato bene in qualsiasi epoca tanto è unico.
Il terzo brano è La parte del torto.
«Brecht diceva che ci sedemmo dalla parte del torto perché gli altri posti erano occupati. Una frase usata anche da Giorgia Meloni al tempo del governo Draghi».
Ma lei da che parte sta?
«Non ho rappresentanza politica, di solito voto contro, non per qualcuno».
Nanni Moretti a Che tempo che fa ha timidamente aperto a Elly Schlein sperando che dica qualcosa di sinistra.
«Tutti aspettano da anni le cose di sinistra. Sono come il Messia».
Canta «Né destra né sinistra» e «pacifisti, santi ecologisti, vi porteremo dalla parte del torto» e «aboliremo l'ignoranza».
«Gramsci diceva di odiare gli indifferenti, ma io disprezzo molto di più chi crea indifferenza. Questo è un disco corale che risponde all'atomizzazione della società, alla frammentazione esagerata».
Nel disco ci sono anche Margherita Vicario...
«Appartiene a una generazione che ha iniziato a demolire».
... e Mara Redeghieri.
«Una cantante resistente in tutti i sensi, anche perché resiste a vivere sull'Appennino lontana dal mondo. Canta in Staffette in bicicletta dedicata a quelle donne che sono state decisive nella nostra Seconda guerra mondiale. A Scandiano ho letto tutti i nomi delle donne morte in quegli anni, Vanda, Gina, Rosina, tutti nomi che a quel tempo si affrancavano dal clericalismo».
Sul divano occidentale ha un'atmosfera alla Battiato e finisce con un gigantesco sbadiglio.
«Goethe scrisse Il divano occidentale orientale in omaggio alla grande poesia persiana. Il diwan era una raccolta di canti che, eseguiti alla corte del sultano, potevano ispirare il buon governo. Il divano in Occidente è la sede preposta a ricevere le forme di comunicazione che poi ci dettano pensieri e comportamenti».
Domani sera 20 aprile c'è il suo concerto urgente al Conservatorio di Milano, poi altri concerti fino all'estate. Passa dal Concertone del Primo Maggio?
«Preferisco quello di Taranto, mi sembra più chiaro di quello di Roma».
I social per Vinicio Capossela.
«Ho un rapporto mediato».
Spesso sono utilizzati da ordigni.
«L'Ariosto definiva l'arma da fuoco come un abominoso ordigno. Oggi anche i droni sono definiti ordigni. Chi arriva prima poi rimane».
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