A caccia della tigre Fra paura, neve e magia

La tigre evoca idee di potenza e ferocia, è predatrice, da tempi remoti è simbolo della casta guerriera, dunque regale. Per i cinesi è sempre stato un’animale divino, ma non del tutto sacro. Non si fanno scrupoli riguardo il cadavere, anzi il corpo di una tigre morta è molto utile per scopi medici e afrodisiaci. Vecchie tradizioni, forse superstizioni quasi innocue in tempi premoderni, che però hanno creato guai seri alle tigri asiatiche negli ultimi anni. La domanda di prodotti derivati dalla tigre ha portato sul baratro dell’estinzione in particolare la tigre siberiana, forse il tipo più preistorico: un bestione che può raggiungere i tre quintali e abita soprattutto fra Cina e Russia. Grazie alla pressione delle associazioni animaliste, ormai il felino è protetto dalle leggi di entrambi i Paesi. Almeno sulla carta, dato che il commercio non si è arrestato e ancora brulica nei mercati d’Estremo Oriente.
In quelle lande remote ci accompagna lo statunitense John Vaillant con La tigre. Un’avventura siberiana di vendetta e sopravvivenza (Einaudi). Un romanzo d’inchiesta che ammette il debito con Moby Dick, modello anche per lo stile che mischia taglio giornalistico, molto cinematografico (i diritti se li è già accaparrati la società di produzione di Brad Pitt) con riflessioni metafisiche.
Si tratta di una storia vera, siamo nel dicembre 1997, a nord di Vladivostok, nel Primorje, una regione il doppio dell’Austria, con monti, neve, foreste iperboree e tigri. Purtroppo ci sono anche i bracconieri, i cacciatori di frodo che vendono ai cinesi i loro trofei. Uno di loro viene sbranato da una tigre. L’animale non si ferma a una sola vittima, sembra quasi che abbia un conto in sospeso con gli umani. Le guardie forestali sono tutte d’accordo: un esemplare così determinato nell’uccidere deve essere abbattuto.
Inizia la caccia, reciproca però, un duello, un’avventura eurasiatica che evoca paure ataviche, preistoriche. Le leggende cinesi sulla capacita della tigre di rendersi invisibile e comparire all’improvviso trovano conferma nella taiga di fine XX secolo. La bestia incarna veramente forze della natura superiori all’uomo, talvolta rappresenta il Male stesso, così ci suggerisce Vaillant. Alla fine, nel giorno del solstizio d’inverno, momento dell’anno che l’antica sapienza attribuisce alle tigri, il felino soccomberà alla potenza delle armi da fuoco. L’uomo ha vinto, può scorticare la tigre e spedire la sua pelliccia in un museo.

Rimane però la consapevolezza che esiste un equilibrio in natura al quale gli animali sono più sensibili di noi, più suscettibili. La tigre non attacca senza motivo, se non braccata dal capitalismo rampante cinese e incattivita, non mangia uomini.

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