Dal calcio al turismo, il crollo della Torino democratica

DECLINO Hotel che chiudono, gli impianti olimpici cattedrali nel deserto. E i visitatori in calo

nostro inviato a Torino

Il cartello che indica l’Oval, il «gioiello» del Lingotto penzola miseramente. In compenso, quello che dovrebbe condurre al Pala-Fuksas lo intravedono solo pochi eletti. Che riescono a farsi largo, muovendosi con circospezione, nel suk, allestito, in spregio a qualsiasi regola, dal variegato e inquietante popolo che spadroneggia a Porta Palazzo. Su un muro di corso Casale qualcuno, con la lucidità dei pensieri che contraddistingue solo chi ha poche idee ma chiare, ha scritto: «Juve merda, richiamate Sivori». Duecento metri più in là, giusto per prendere le distanze dalla controparte, qualcun altro ha risposto: «Meglio Petardo che Granata».
Stile essenziale, due pennellate e voilà: il ritratto di una città sull’orlo di una crisi di nervi. Alzi gli occhi al cielo per interpretare gli umori della giornata e vedi Superga avvolta da una nube, che ancora sta decidendo se andarsene o no. Se l’attuale appeal di Torino si misurasse dai miserrimi risultati della due società di calcio cittadine, potremmo dire, senza scomodare Freud, di trovarci di fronte ad una città sprofondata in una crisi esistenziale senza precedenti. Nove esoneri di altrettanti allenatori in 40 mesi testimoniano il disfacimento, ma soprattutto il disorientamento del Toro. Mentre Ciro Ferrara, suonato per sua stessa ammissione «come Rocky dopo una montagna di cazzotti» si aggrappa, disperatamente, alla coda della Zebra, come i bimbi cercano di acciuffare quella fatta di stracci, che regala un altro giro sulle giostre.
Lo spleen peggiora se si pensa alla Tav incagliata in Val di Susa grazie all’ostinazione dei falchi locali del Pd contro cui i leader istituzionali, dello stesso Pd, Chiamparino e Bresso in testa, non osano dire una parola. E le Olimpiadi invernali del 2006? Preistoria, ormai. «Anche perché - rileva Agostino Ghiglia, parlamentare e coordinatore provinciale del centrodestra - più che da volano hanno fatto da boomerang. Se si potessero sollevare dalle loro panchine Chiamparino e la Bresso, come si fa con gli allenatori, sarebbe tutto più facile e Torino potrebbe cominciare a risalire la china. Invece i grandi impianti olimpici sono cattedrali nel deserto, abbandonate. Che costano un paio di milioni di euro in manutenzione e che gli amministratori locali non sono stati capaci di riconvertire. Eppure i consulenti d’oro pagati 60 milioni dal famigerato Toroc Olimpico avrebbero potuto anche farsi venire qualche idea per il futuro di queste strutture. La verità è che il problema Torino, che poi è anche il problema Piemonte è l’univocità della classe dirigente che ha portato alla sclerotizzazione di idee e di progetti. Altro che Rinascimento di Torino, qui siamo in pieno decadimento. Ci sono boiardi locali che passano con disinvoltura dal cda di un teatro alla Camera di commercio, alle municipalizzate. Che cosa si può pretendere di cambiare?».
«Non pensiamo solo alla Fiat e non diamo alla Fiat tutte le colpe di Torino», puntualizza Gianfranco Carbonato presidente dell’Unione industriale, nato a Cusano Milanino da mamma pugliese e padre piemontese ma vissuto sempre a Torino e, soprattutto, con trascorsi calcistici in maglia granata. «A Torino - ricorda Carbonato - ci sono fior di aziende che lavorano con grande professionalità, solo che preferiscono non farlo sapere troppo in giro. È la tipica contraddizione sabauda che segna i limiti di questa città. Una città che, anche per la sua vocazione industriale esce più acciaccata di altre dalla crisi economica. Quanto al calcio, visto che posso parlarne con una certa competenza, le due società di Torino mostrano i segni dell’inesperienza della loro classe dirigente. Prendete Cairo: ha un’ottima squadra editoriale e per questo ha successo. Se solo avesse fatto scelte giuste anche nel calcio e potesse mettere anche in campo 11 giocatori altrettanto bravi io da tifoso avrei finalmente smesso di soffrire».
Organizzatore di eventi e manifestazioni che hanno lasciato il segno a Torino e in Italia, Marco Zangrilli, titolare della Temperino, è un vulcano di idee. «Spesso però vanno ad arenarsi contro una certa mancanza di elasticità mentale. Si sono fatti grandi passi avanti in questi anni e, indubbiamente, si devono fare i conti con i finanziamenti. Ma il vero problema è che mentre Milano sa comunicare, anche quando organizza poco, Torino fa esattamente il contrario. Ad aprile ci sarà in città l’ostensione della Sacra Sindone, un evento di grandissima risonanza. Ne avete sentito parlare? Ne avete già letto da qualche parte? Noi come privati ci siamo già mossi per organizzare iniziative di cornice, ma l’impulso dovrebbe venire dalla città. Torino deve vincere il suo immobilismo comunicativo e smetterla di avere scarsa fiducia nelle proprie potenzialità se vuol davvero entrare nel grande giro internazionale».
D’altra parte le cifre che sciorina Davide Bogliacino, da sempre colonna dell’Ufficio promozione città di Torino, non sono incoraggianti: «Nel 2009 si è registrato un calo delle presenze dei turisti del 6-7% rispetto al 1998». Una preoccupazione confermata da Claudia Piras, consulente dell’ospitalità, 13 anni di esperienze nazionali e internazionali nelle più importanti catene alberghiere». Un albergo a cinque stelle ha appena chiuso e l’altro sta per farlo, e il Convention bureau cittadino, su cui molti riponevano speranze lo stanno mandando a morire. I segnali di una crisi indubbiamente ci sono. Forse perché Torino non ha mai avuto una vocazione turistica ed è stata sempre condannata dalla presenza Fiat ad essere considerata una città industriale e quindi da scansare con cura. Le Olimpiadi invernali del 2006 hanno contribuito a farla conoscere, certo, ma adesso c’è il problema di certe strutture come i vari «Pala» che sono sottoutilizzate o come l’Oval del Lingotto che non è stato supportato da un’adeguata rete di servizi.

Bisogna avere il coraggio di uscire dall’immobilismo, altrimenti il Rinascimento di Torino sarà soltanto un sogno». E Torino, come scriveva Pitigrilli, resterà una città «per i vecchi coniugi che non hanno più nulla da dirsi».

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