Caos Primo Maggio. Avanti uniti, anzi in ordine sparso. Bandiera rossa se non trionferà comunque sventolerà a macchia di leopardo, lungo la penisola trasformando lo shopping, che molti sognavano in una sorta di caccia al tesoro.
In altre parole la gita fuori porta tra gli scaffali dell'outlet o del supermarket si potrà fare solo a condizione di avere tra le mani una mappa delle deroghe e delle città che hanno deciso di concederle. Un po’ come dire: no al consumismo sfrenato e sì al comunismo di ritorno, con buona pace dei sindacati che s'erano già messi a strillare.
Arriva la Festa del Lavoro e le opinioni cozzano sull'opportunità o meno di tirar su o lasciar giù le serrande dei negozi. Prendete Milano, città dove lo shopping porta la «S» maiuscola, dove il denaro non può fermarsi solo perché trova una saracinesca chiusa. Fino a l'altro giorno sembrava quasi un sì, una certezza, la libera apertura di ogni punto commerciale, dalla piccola bottega al grande emporio. Invece ieri Letizia Moratti e la sua giunta hanno innestato la retromarcia.
«Per rispetto della Festa del Lavoro, così come chiesto dai sindacati e in accordo con i partecipanti al tavolo sicurezza, vista la concomitanza con le manifestazioni del Primo Maggio ho convenuto di non concedere la deroga per l'apertura straordinaria dei negozi»: il succo del discorso e del cambiamento di rotta, depositato in una scarna nota di Palazzo Marino. D'altra parte, oltre ai sindacati, che si erano messi a rumoreggiare, anche la Curia ci aveva messo del suo: «Il riposo è un momento importante per l'uomo. Per tutti gli uomini, non solo per quelli di fede». Per questo un rito laico come il Primo Maggio andrebbe mantenuto, aveva dichiarato ai quattro venti, don Raffaello Ciccone, responsabile della Pastorale per il lavoro della Diocesi di Milano.
Che fare dunque per non lasciare le borse asciutte e i bagagliai delle auto vuoti? Se proprio non si vuole mollare Milano ci si potrà consolare con la sempre interessante visita dei mercati scoperti che, questo è certo, allestiranno le loro bancarelle in tutta la città, come ogni sabato. In ogni caso le alternative da Nord a Sud non mancheranno. Gli esercizi commerciali potranno restare aperti, su base volontaria, nella grande area di Perugia, è stato confermato ieri nel capoluogo umbro. Il provvedimento è stato preso anche, ha spiegato l'assessore alle Attività economiche, Giuseppe Lomurno, per «andare incontro alle richieste degli operatori alle prese con una crisi perdurante da parecchi mesi. Il settore è in affanno per il calo dei consumi ed è opportuno utilizzare tutte le opportunità per favorire la ripresa. Quello del Primo Maggio anche se è un ponte molto corto potrebbe comunque portare qualche beneficio». E anche a Torino, è sicuro, le saracinesche nell'area turistica del centro potranno restare alzate, segnando così la Prima festa dei lavoratori con i negozi aperti sotto la Mole. E Domenica 2 Maggio si farà il bis. La decisione è stata condivisa dal sindacato, anche per le esigenze legate all'ostensione della Sindone: non si possono trascurare i turisti che arrivano a frotte in città. Ma i centri che il Primo Maggio terranno aperti i negozi sono anche altri: Monza, Cagliari, Palermo per fare solo qualche esempio.
«Registriamo un aumento delle richieste di deroga motivate da esigenze di bilancio. Per alcuni tenere aperto vuol dire anche riuscire a difendere meglio l'occupazione», ha fatto notare Renato Borghi, vice presidente Confcommercio. Una cosa che non hanno capito o non vogliono accettare in Toscana, dove Cgil, Cisl e Uil hanno levato gli scudi e proclamato per sabato una giornata di sciopero «per sostenere i lavoratori cui è stata negata la festa del Primo Maggio».
Tutto ciò dopo che in primo luogo Firenze e a seguire le amministrazioni comunali di Siena, Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Monteriggioni, Pienza e San Quirico d'Orcia hanno deciso di accogliere i turisti a braccia aperte. O meglio, a saracinesche alzate.
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