«Vittorio, se poi riuscissimo ad avere, anche domani mattina per le brevi (Whatsapp), un testo con una dichiarazione su cosa potrebbe accomunare - se mai ci potessero essere elementi di convergenza - Caravaggio e gli scultori dei Giganti di Mont'e Prama (nonostante appartengano a espressioni artistiche, epoche e contesti molto diversi), sarebbe molto interessante. Ti ringrazio anticipatamente, buona serata».
Mi arriva questo messaggio l'altra notte, in previsione di una conferenza su Caravaggio al Festival internazionale dell'archeologia nell'estate di Mont'e Prama, vicino ad Abbasanta, in prossimità del Nuraghe Losa. Per fornire elementi più precisi a chi è distante, come tutti sono, dalla Sardegna, riporterò le parole di una amica sarda, la più vicina a Rosanna Rossi, pittrice inarrivabile per intelligenza e sapienza: «Ciao Vittorio ti so questa sera in Sardegna per lectio Caravaggio al nuraghe Losa, il mio preferito. Che peccato non riesco a esserci ma ti mando un saluto affettuoso da Rosanna Rossi e da tutte noi. Federica e Carla Orrù». Torno dunque con la memoria alla prima volta che vidi i Giganti di Mont'e Prama, con il grande archeologo Francesco Nicosia, tanti anni fa, al mistero che hanno rappresentato e rappresentano nelle loro dimensioni, nelle sintesi dei loro lineamenti, alle difficoltà di definirne epoca e riferimenti stilistici. E sono tornato ora a rivederli in una stanza luminosa davanti al mare, nel Sinis di Cabras. Mont'e Prama è la più importante necropoli nuragica, un sepolcro di eroi. Le statue rappresentano valenti guerrieri abili e coraggiosi: alcuni esibiscono la corazza finemente lavorata, lo scudo e la spada, altri l'arco e la faretra con le frecce. Un tempo le statue erano allineate a protezione della necropoli lungo la strada alle pendici della collina di Mont'e Prama. Accanto enormi pietre sacre e riproduzioni di nuraghi, le torri simbolo di un'intera civiltà. Forse per la fine di un'epoca, forse per uno sconvolgimento storico, culturale e sociale iniziato alla fine dell'Età del Bronzo e proseguito nell'età del Ferro (950-730 a.C.), le statue furono seppellite ai bordi della collina. Così, per fortuna, sono giunte sino a noi. Il colle è al centro della penisola del Sinis, vicino a Cabras, nell'Oristanese, racchiuso tra la spiaggia cangiante di quarzo bianco e rosa di Mari Ermi e l'oasi naturalistica dello stagno di Cabras.
I Giganti vigilano sulla morte. Nulla a che vedere con Caravaggio. Ma io azzardo comunque una risposta. Ed è una contrapposizione, con qualche concessione. «I Giganti e Caravaggio hanno in comune la maestà dell'uomo nel contrasto con il male, che i giganti vincono e che in Caravaggio prevale. L'arte è una forza di contrasto, una forma di resistenza. I giganti e i poveri, i santi, i ragazzi di Caravaggio resistono. Fanno la resistenza. I primi dominano, gli uomini di Caravaggio sono combattono fino alla disperazione. Ma i primi vincono perché sono dei combattenti e guerrieri concepiti dagli uomini. Come una difesa. In Caravaggio gli uomini sono soli, e Dio è lontano».
I giganti sono Dei armati per difendere gli uomini, creati dagli uomini. I personaggi di Caravaggio sono soli, umiliati e abbattuti come Saulo caduto da cavallo. Un uomo ferito, umiliato, disarcionato, schiacciato a terra. E quando veramente appaiono i giganti, diversi giganti, come nel Seppellimento di Santa Lucia a Siracusa sono forze del male, grandi e curvi, a scavare la fossa per occultare nel fango il corpo della santa dentro le buie latomie di Siracusa. Anche qui - attivi in una azione cattiva e non eretti guerrieri - a presidiare una necropoli. Ma i giganti di Mont'e Prama sono giganti di luce, e, finché dominano, tengono lontani la morte e il male. Il dipinto, con la sua ambientazione nelle Latomie di Siracusa, in quel buio, in quello spazio cieco, ci introduce e ci incammina nel grande cretto di Burri a Gibellina come nell'Inferno. È questo il significato estetico del fondo di Burri nel Seppellimento: desolazione, mancanza d'aria, soffocamento, materia che soffre. Con un'intuizione sorprendente, Caravaggio, nella parte superiore del Seppellimento, dipinge il «non essere» creando una «non pittura», uno spazio vuoto senza intenzione mimetica o descrittiva, Uno spazio mentale. In ogni caso quella sopra resta pittura mentre quella sotto non è pittura, è lacerazione, ferita della materia. La superficie perde consistenza pittorica, logorata dal tempo, e diventa sacco. Lo stesso avviene nel labirinto del grande cretto dove il paese è perduto, ma il percorso è reale, come in un aldilà di Gibellina. È in quello spazio, mentale e tragicamente reale, che ha luogo la prefigurazione mortale della Santa che non riguarda solo la sua morte ma quella di chiunque sottoposto alla violenza, bestiale, ignara. Davanti a quello strazio non restano che il silenzio e la concentrazione remota in un tempo immemore. Davanti a tanta forza bruta l'umanità resta attonita, perfino immemore: così gli astanti, impietriti, annichiliti, cercano di esistere. Lo ha scritto Jean Genet: «Creare non è uno dei soliti giochetti un tantino frivoli. Il creatore si è impegnato in una avventura terrificante che consiste nell'assumersi egli stesso, fino in fondo, i pericoli corsi dalle sue creature». Ecco perché, con la cieca violenza dei due bruti in primo piano, il Seppellimento di Santa Lucia è un capolavoro tragico, la prova della forza del male.
In Caravaggio gli uomini non sono vittoriosi ma vinti: lo sono gli apostoli nella Morte della Vergine, lo sono i pellegrini sfiniti nella Cena in Emaus, lo sono i disperati nella calca delle Sette opere di misericordia, una umanità povera e umiliata, lo sono i pastori nella Natività di Messina, ognuno nella sua invincibile solitudine. Si possono dunque accostare cose e invenzioni lontane. Sentire che l'arte è sempre la vittoria della vita sulla morte in un eterno presente. L'arte è un dialogo senza tempo tra passato e futuro. Nei Giganti vediamo la testimonianza della grandezza umana scolpita nella pietra, una testimonianza che resiste attraverso i secoli. In Caravaggio, invece, troviamo l'umanità fragile e tormentata, ma altrettanto eterna nella sua lotta contro il buio.
Di Caravaggio sappiamo tutto. Dei guerrieri di Mont'e Prama non sappiamo niente, non conosciamo l'autore, non conosciamo l'epoca. Si oscilla di cinque secoli, di cinquecento anni, un pezzo di lunga storia, di immobile storia.
Potrebbero essere di XIII secoli prima di Cristo o di soli IX secoli avanti Cristo. Sono almeno tremila anni. E ci parlano, ci rassicurano, ci difendono. Per questo sono stati pensati, sono stati concepiti: per resistere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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