Il caro-petrolio non spaventa Trichet

La curva dei Bond americani non preoccupa: c’è stato solo un appiattimento

Rodolfo Parietti

da Milano

I prezzi del petrolio continuano a essere una minaccia potenziale per lo sviluppo economico, ma «non possiamo neanche escludere che la crescita globale potrebbe essere leggermente superiore nel 2006 al 2005». Il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, si fa portavoce del diffuso ottimismo tra i colleghi del G-10, riuniti a Basilea nel tradizionale appuntamento di inizio anno. Pur temperato dalla tradizionale cautela con cui i banchieri centrali sono soliti muoversi, l’ottimismo dei Dieci è corroborato dalle previsioni del Fondo monetario internazionale, che ipotizza una revisione al rialzo del più 4,3% stimato per quest’anno.
La capacità mostrata dalle economie più industrializzate di generare gli “anticorpi” necessari ad attenuare gli choc petroliferi è la base su cui poggia l’outlook del G-10. Trichet ha parlato di una resistenza «molto, molto significativa» al rincaro dei prezzi del greggio, una sorta di barriera anti-inflazione più volte richiamata in passato dal presidente uscente della Federal reserve, Alan Greenspan. Poi ci sono gli investimenti societari, visti in aumento: un’altra spia che segnala bel tempo sul quadro di controllo delle banche centrali. Il processo di aumento dei tassi di interesse, che ha finora investito soprattutto gli Stati Uniti e in modo ben più marginale l’euro zona, non sembra dunque aver finora frenato le imprese. Quanto all’inversione della curva dei rendimenti dei Bond statunitensi, che in genere anticiperebbe l’arrivo di una recessione, Trichet non appare preoccupato: «Mi limito a dire che abbiamo osservato un maggiore appiattimento».
Nessuna grossa nuvola all’orizzonte, dunque? Rodrigo Rato, direttore generale del Fmi, condivide le posizioni del G-10: «Il 2006 dovrebbe essere un anno positivo per l’economia mondiale. Nell’area euro - ha aggiunto - ci sono segnali che la crescita quest’anno sarà maggiore che nel 2005».
Restano però alcuni nodi irrisolti, non affrontati nella riunione di Basilea. A cominciare dalle questioni legate all’andamento dei cambi, con particolare riferimento alla rivalutazione dello yuan cinese, invocata dallo stesso direttore del Fondo monetario e a più riprese chiesta dall’amministrazione Bush come strumento necessario non solo a riequilibrare i rapporti commerciali, ma anche come leva di stimolo dei consumi interni. Le mosse valutarie di Pechino vengono comunque seguite con attenzione dai Paesi più industrializzati.

Una revisione delle riserve monetarie cinesi, attuata attraverso una massiccia vendita di Treasury Usa, potrebbe d’altra parte impattare pesantemente sul dollaro e rendere problematico il finanziamento del deficit federale americano, da tempo considerato - al pari del disavanzo delle partite correnti Usa - una delle variabili in grado di destabilizzare la crescita globale.

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