Parigi, 1939. Un bambino di otto anni giace a letto malato: difterite. Trentacinque anni prima, in una fattoria nella campagna della Charente-Maritime un bambino di otto anni giaceva a letto malato: impetigine. Questo secondo bambino è il padre del primo bambino e, accudendolo, si ricorda (oggi, nel presente di questa storia raccontata in prima persona) di quella sua malattia, soprattutto del suo «fare assenza» a scuola. Quando uscì in italiano nel 1960 nella collana mondadoriana «Il girasole», questa storia venne intitolata Ricordi proibiti. Ma ora torna a essere, come volle il suo autore, Malempin (Adelphi, traduzione di Francesco Tatò), il cognome di Édouard e di Jèrôme detto Bilot. Georges Simenon la scrisse nel castello di Scharrachbergheim, in Alsazia, nel marzo del '39. E più in fretta del solito. Lui e la moglie Régine detta Tigy vi erano giunti, da Nieul-sur-Mer, su consiglio di Lucien-Marie Pautrier, dermatologa a Strasburgo: Tigy era incinta, meglio avere a portata di mano il famoso ostetrico e ginecologo Raymond Keller, di stanza appunto a Strasburgo (anche se poi Marc nascerà a Bruxelles, in agosto). Inoltre, a soffiare sul fuoco della premura e dell'inquietudine erano anche i venti di guerra. Insomma, c'è in arrivo un bambino e il suo papà scrive un romanzo con al centro due bambini, uno steso a letto, e l'altro, ancora bambino dopo 35 anni, seduto sulla sedia accanto.
Édouard, il bambino adulto, ha 42 anni, è un medico stimatissimo e pensa che «gli unici anni di vita reale sono gli anni dell'infanzia». A segnare la sua vita sono bastate alcune settimane. Quelle poco prima, durante e poco dopo l'alluvione che colpisce Saint-Jean-d'Angély e dintorni. Dintorni dove si trova anche la fattoria dei Malempin, padre, madre e due figli, quasi sul baratro della povertà. Invece lo zio Tesson (zio della madre di Édouard e Guillaume), se la passa bene, con i suoi traffici poco chiari ma redditizi. «Mi incuteva soggezione. Era un omino magro, col piede equino. Odorava di sigaro e anche di altre cose che non riesco a definire, ma durante una lite sentii mio padre che gridava: È un vecchio satiro che puzza come un caprone!». Nei ricordi di Édouard affiora il fondato sospetto di prestiti chiesti a Tesson. Affiorano i sentori di perversione di Tesson, con e senza la moglie Élise, affiora la sagoma rozza e gaudente dell'altro zio, Jaminet. E affiora, galleggiando come il cadavere di un annegato, la sparizione di Tesson, svanito nel nulla. Pochi giorni dopo, su un sentiero a fianco di una discarica di rifiuti, la rivelazione (o allucinazione): «Fissavo un oggetto, forse da un bel po', ed ecco che l'oggetto si trasformò in un polsino rotondo, con delle macchie brune. Distinguevo il gemello d'oro, col puntino rosso di un rubino, e lo riconobbi. Quel gemello e quel polsino erano appartenuti a zio Tesson».
C'è un colpevole? Ce ne sono più d'uno? Nella mente di Édouard esiste un'indiziata, il cui nome non segnaliamo alle autorità dei lettori, tradita da una bugia.
Segnaliamo invece le pagine più dense e avvolte da uno stato febbrile, morboso: quelle che vedono Édouard scaricato dai genitori dalla zia Élise, potenziale vedova non proprio inconsolabile. Un simulacro di madre, in assenza di quella naturale e per certi versi snaturata.
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