Roma Ti piace vincere facile, eh? È probabile che abbia guardato troppa pubblicità del grattaevinci, il leader dell’Udc, lasciandosi suggestionare. Però gli va riconosciuta l’attenuante genetica, perché l’arte del saltar sul carro del vincitore, puntare sul cavallo che ha almeno un giro di distacco, scegliere il piatto più appetitoso e conveniente, è antica e sperimentata, gli viene dalla gloriosa Dc. La pulsione a vincer facile, la ricerca di scorciatoie per salir sulle poltrone e conservarle col minimo dello sforzo e ancor più del rischio ce l’hanno nel Dna, Pier Ferdinando Casini e i suoi. Un po’ come tutti i postdemocristiani, del resto. Compreso Francesco Rutelli che, pur nato radicale e cresciuto verde, nella fulminazione sulla via di Damasco ha subìto la trasfusione totale del sangue e pure del midollo, dunque come tutti i convertiti si rivela più granitico e perfetto degli originali, anche nei difetti.
Chiamalo vizietto se vuoi, ma non stupirti più di tanto. Anzi, è stupefacente che ci abbiano messo così tanto tempo, a ricordarsi della «politica dei due forni» enunciata a metà del secolo scorso da Giulio Andreotti, detto la vecchia volpe, e praticata dallo Scudocrociato a stagioni alterne ma sempiterne, sino alla sua frantumazione: non era certo colpa loro, ghignava Andreotti, se a destra e a sinistra s’offrivano due forni, sempre spalancati; o il mercato è peccaminoso? Così la linea delle «mani libere» perseguita da Arnaldo Forlani, maestro e mentore del giovane Casini, il segretario del massimo splendore democristiano famoso per non negarsi mai ai giornalisti e parlare, parlare, finché un cronista più coraggioso lo interrompeva, «scusi segretario, ma non ci ha detto ancora niente», e lui soave ribatteva: «Se è per questo, posso andare avanti così per altre due ore». Ma stiamo divagando, perché all’elenco delle formule per nobilitare il vizietto democristiano vanno aggiunte le «convergenze parallele» teorizzate da Aldo Moro per dare dignità al camminare sottobraccio coi comunisti: matrimonio senza sesso, insomma, ma l’importante è camminare divisi per comandare insieme. Senza dimenticare le astrazioni ardite di Ciriaco De Mita per far ondivagare la Dc tra Bettino Craxi ed Enrico Berlinguer. E giù, giù, sino ai contorcimenti di Mino Martinazzoli e alle sardine di Rocco Buttiglione a casa di Umberto Bossi nel ’94 per il ribaltone con Massimo D’Alema.
Ma sì, chiamatelo Andrea e non più Grande Centro, come chiede adesso Casini, la sostanza non cambia. La prova generale per piazzare Andrea sulla corsia più veloce e sicura di ogni corsa, l’Udc l’ha fatta nei ballottaggi del giugno appena scorso: eccoli alleati con la sinistra vincente a Bari, a ruota del centrodestra inarrestabile per la Provincia di Venezia, col Pd favorito a Rieti e così via. Oddio, hanno sballato qualche puntata, come ad Ancona, ma il bilancio complessivo è risultato positivo, da rinverdire i fasti di Ghino di Tacco. Perché, dunque, non riprovarci alla grande in vista delle regionali? Se gli va bene, si troveranno al governo di quasi tutte le Regioni italiane, con destra o sinistra poco importa, e strapperanno anche un paio di governatori laddove risultano sicuramente determinanti. Non date retta ai grandi ed alti proclami di «nuove maggioranze» in Parlamento, alle visioni di lungo e nuovo respiro, all’anatema contro Attila Bossi, alla crociata contro gli unni e vandali della Lega. L’orizzonte di Casini e Rutelli è per ora più vicino e concreto, arriva a marzo. E potete scommetterci, al Nord Andrea andrà in giunta anche col Carroccio, sempre che se lo prendano.
Il gioco è così scoperto, che se ne è accorto persino Dario Franceschini. Sarà agli sgoccioli, il segretario del Pd, ma con lucidità ha lanciato l’allarme contro le seduzioni dell’Udc: «Hanno una ragione sociale che non mi piace, questo stare in mezzo e scegliere di volta in volta dove andare... Mi sembra un centro mobile. Dunque saranno i nostri candidati presidenti di Regione a valutare se, nelle loro realtà, esistano le condizioni programmatiche per allearsi con loro». Era alla festa del Pd, Franceschini. Gli hanno domandato se sul grande centro, pardon su Andrea, abbia avuto almeno un confronto con Rutelli. «No», ha risposto, «ma gli telefonerò». Sì, sì, telefonate a Francesco che da quando lo han trombato - anzi, s’è lasciato trombare, da Walter Veltroni - nell’ultima corsa al Campidoglio, sta soppesando calore e prezzi dei due forni: quello del Pd, dove ormai sta malamente, e quello di Casini, con l’«incantamento» di Fini e Montezemolo.
Vorrei che tu e Lapo ed io... Le regionali sono l’obiettivo, ma l’«incantamento» vorrebbe nasconderlo. Ci si mette anche l’immancabile sondaggio: Roberto Weber, Swg, assicura che se l’Udc ora vale il 7%, un partito centrista con Montezemolo alla guida «arriverebbe molto più in alto, almeno al 15%». Però attenzione, amici.
Guai, ad usare la dizione Grande Centro, avverte Weber, «non va bene, porta male: evoca un partito cattolico, ricorda Martinazzoli e le sconfitte». Capito perché Casini vuol chiamarlo Andrea? Pur se il santo patrono di questa creatura, più che l’apostolo maggiore sembra quello delle Fratte, venerato nella chiesa romana vicina alla sede della vecchia Margherita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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