Caso Abu Omar, Cia e Pollari verso il processo

Stefano Zurlo

da Milano

In cima alla lista, con l’accusa di concorso in sequestro di persona, c’è il direttore del Sismi, Nicolò Pollari. Con lui, l’alto dirigente del servizio segreto Marco Mancini e il maresciallo pentito del Ros Luciano Pironi. Ancora, ma solo per favoreggiamento, il capo dell’ufficio di via Nazionale Pio Pompa, il vicedirettore di Libero Renato Farina e un cronista giudiziario dello stesso quotidiano. Per la Procura di Milano il caso Abu Omar è chiuso e l’indagine è finita. Ora è il momento del deposito degli atti. Trentotto le persone coinvolte a vario titolo e fra loro ben 26 sono gli 007 americani, a cominciare dal capo della Cia a Milano Bob Seldon Lady e dal numero uno a Roma, Jeff Castelli.
L’imam Abu Omar venne catturato a Milano, in via Guerzoni, da una squadra della Cia il 17 febbraio 2003. Trasferito in gran segreto nella base di Aviano, il presunto terrorista fu imbarcato su un aereo e consegnato nel giro di poche ore alle autorità egiziane. A tutt’oggi sarebbe detenuto in un carcere del Cairo e sarebbe stato sottoposto a torture. Ma questa ormai è un’altra storia. In Italia Abu Omar è il sinonimo di un’inchiesta senza precedenti che ha portato la Procura a chiedere l’arresto di decine di agenti della Cia e a intercettare i telefonini dei massimi dirigenti dell’intelligence italiana, uscita malconcia da questa storia. La poltrona di Pollari è in bilico e la credibilità del servizio, radiografato da centinaia di pagine di verbale, è ai minimi storici.
I pm Ferdinando Pomarici e Armando Spataro ritengono di aver raccolto una montagna di indizi contro gli indagati a stelle e strisce: gli uomini della Cia agirono quasi alla luce del sole, utilizzarono senza andare troppo per il sottile telefonini, carte di credito e auto noleggiate, riempirono le stanze più lussuose nei migliori alberghi della città. Più complessa, e affidata anzitutto alle intercettazioni, la seconda parte dell’indagine che ha preso di mira il Sismi e i suoi vertici. Conversazioni non sempre chiare e talvolta double face, mezze ammissioni, ma anche strenue autodifese: non è ancora ben chiaro se e quanti italiani parteciparono al sequestro e quale fu il loro ruolo. Su tutto l’affaire aleggia poi il segreto di Stato, tema vischioso, invocato, secondo i pm a sproposito, da Pollari.
«Sono molto sorpreso - commenta Luigi Panella, difensore di Mancini -. La mia sorpresa deriva da due ragioni: la prima è che mi aspettavo la richiesta di archiviazione per Mancini, dal momento che a suo carico non è emersa alcuna prova e lo dimostreremo al processo; il secondo motivo è che ci aspettavamo degli approfondimenti d’indagine da parte della Procura sulla base di quanto affermato dal maresciallo Pironi nel corso dell’incidente probatorio». Che avrebbe alimentato nuovi dubbi sul ruolo reale giocato dal Sismi nella partita: Seldon Lady si sarebbe lamentato con Pironi per il fatto che il Sismi non era nemmeno riuscito a rintracciare l’indirizzo di Abu Omar. Inoltre alcuni dettagli contenuti nel racconto del maresciallo avrebbero fatto sorgere punti di domanda sulla figura di Abu Omar, ritenuto in ogni caso terrorista di rilievo, reclutatore di kamikaze e anello di congiunzione fra varie cellule islamiche. «A questo punto - conclude Panella - solleciteremo noi nuove indagini».
Polemica anche Daria Pesce, legale di Lady: «Se rapimento ci fu, non venne certo sequestrata una suora ma un terrorista acclarato. Quindi, probabilmente, sorge il problema dello stato di necessità».


Francesco Cossiga, infine, prova a delineare quel che accadrà: «Se si arriverà al rinvio a giudizio di Pollari e se il Governo non solleverà il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta, il direttore del Sismi potrà ritenersi sottratto all’obbligo del segreto di Stato ed esibire tutti i documenti che vorrà portare a propria difesa. Allora ne vedremo delle belle».
Chi invece non potrà discolparsi sarà il generale Gustavo Pignero, arrestato in estate insieme a Mancini. È morto a settembre, consumato da una malattia.

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