Li tocchi, magari li sfiori appena, e loro, immediatamente, si ergono a paladini della libertà di stampa. I media che cantano nel coro dei soliti noti ci accusano di «informazioni distorte» e «killeraggi» vari e, forti di queste loro «certezze» si ritengono autorizzati a coprire di insulti Il Giornale e i suoi giornalisti.
Strano destino quello dei moralizzatori «ad orologeria» e dei vessilliferi del politically correct che stanno tuonando in questi giorni contro di noi. Strano destino perché, purtroppo per loro, soffrono di amnesie. E le amnesie, a volte, possono giocare brutti scherzi. Così ci sembra giusto ricordare a questi intoccabili signori, rigorosi interpreti della notizia dura e pura, un fatterello da niente.
Giusto una querela. Una querela con richiesta di risarcimento da otto miliardi di lire che lallora presidente del Consiglio, Romano Prodi, era il 1996, presentò contro il Giornale. Otto miliardi di risarcimento danni perché, in una serie di articoli comparsi sul nostro quotidiano, tra il settembre e lottobre del 1996, si evidenziavano alcune curiose «incongruenze», che riguardavano uno studio di valutazione di impatto ambientale commissionato alla celeberrima Nomisma, la società di consulenza della quale Romano Prodi non è mai stato propriamente estraneo. Studio affidato a caro prezzo alla società in questione, dalle Ferrovie dello Stato, in vista di un progetto di alta velocità, prossimo venturo. Uno studio pagato una decina di miliardi ma che, secondo le tesi emerse con chiarezza dai nostri articoli di quelle settimane, rappresentava sulla carta di fatto un doppione di un analogo progetto di fattibilità predisposto da enti ministeriali. E che oltretutto non sembrava, come dire, di facile reperibilità. Come risultava da alcuni titoli della nostra inchiesta: «Giallo al ministero: sono scomparsi gli studi di Nomisma», «Sparito il dossier da 10 miliardi» e dal fondo, «Cattivi pensieri» che il direttore Feltri (sì, anche allora come oggi era direttore di questo giornale Vittorio Feltri) dedicò alla vicenda.
Il punto è questo. Vi ricordate, per caso, che allepoca di quei fatti e di quella querela qualcuno, non abbiamo preferenze, diciamo uno qualsiasi dei tanti difensori della «libertà di stampa», che stanno accendendo i fuochi pirotecnici dellinsulto in questi giorni, abbia preso le difese del Giornale?
No, non vi ricordate. Non vi ricordate perché non ci fu alcuno che si prese la briga di dire, anche solo di sussurrare magari, che il Giornale aveva tutto il diritto di condurre uninchiesta sullargomento specifico e di chiedere conto al presidente del Consiglio di allora, Romano Prodi. Il quale invece aveva, come ha avuto, il sacrosanto diritto di querelarci e chiederci otto miliardi di risarcimento. Curioso, no? Che allUnità, a Repubblica, persino allAvvenire, tanto per citare un giornale di cui si parla tanto in questi giorni, si fossero distratti in tutti quei mesi? E si fossero ancora più distratti quando Prodi offrì loro loccasione di commentare e dibattere la notizia di una querela così roboante? Chissà.
Siamo in tema di amarcord e così, nel caso servisse a rinfrescare la memoria a chi soffre di amnesie, vorremmo citare anche un passaggio della sentenza emessa dal giudice Claudio Marangoni che, nella sostanza, ci diede abbondantemente ragione. Eccolo: «...Ritiene il giudicante che le doglianze di parte attrice, relative a tali articoli non possano essere ritenute fondate...
Pagammo quindi, alla fine, giusto 18 milioni di spese. Decisamente meno, molto meno, di certe curiose parcelle dellintoccabile Nomisma. Dellintoccabile Prodi.
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