Il caso Reati sul web? C’è un codice, il magistrato indaghi

SCENARI Maroni esclude leggi speciali. E la sinistra radical chic guarda in cagnesco i giudici anti-Rete

«La proposta che discuteremo in Consiglio dei ministri non prevede alcuna legge speciale né reato specifico e non ci sarà alcun intervento censorio del governo. Stiamo pensando a strumenti che permettano alla magistratura di intervenire per decidere se sul web si compie un reato e per rimuovere gli effetti del reato». È lingua italiana. Chiara, inequivocabile. Non è un sms di quelli sincopati, non è il linguaggio bloggarolo con i suoi annessi e connessi di punti esclamativi e altri orpelli. Quindi le parole, pronunciate ieri dal ministro dell’Interno Maroni, dovrebbero venire correttamente interpretate anche da una certa sinistra che, a cominciare dal «trio dei sorrisetti candidi e sardonici» che va da Travaglio a Santoro alla direttora dell’Unità, Concita De Gregorio, aveva già alzato le barricate a difesa del melmoso e incustodito territorio di internet.
E a difesa di una, sicuramente sacrosanta, libertà d’espressione ma che, guarda caso, troppo spesso, viene scambiata, nei vari appartamenti ad uso promiscuo, di Facebook o nelle suite di Twitter, per libertà d’insulto e di minaccia (ne scrivo a ragion veduta visto che, nel mio piccolo, ho messo insieme in questi mesi qualche centinaio di «commenti» ad alcuni miei articoli, in cui la parola più carina è stata: «zerbino e servo di Berlusconi»). Dunque, se abbiamo capito bene, bisogna solo studiare qualcosa di utile per recintare un po' quel campo senza confini, dove la fantasia di ciascuno compie piroette, e chiunque può proporre suggerimenti sulla cottura delle uova al tegamino, dispensare consigli sulla coltivazione degli anacardi ma anche arruolare 11.380 iscritti (era il dato aggiornato al 20 ottobre prima che si provvedesse a far chiudere quella dépendance di Facebook) disposti ad uccidere il Cavaliere. E non solo a fuoco lento.
«Oggi - ci spiega in buona sostanza Maroni - la magistratura può trovare il colpevole ma non può intervenire. Quindi stiamo pensando a norme ma non a nuovi reati perché anche sul web la magistratura applichi il codice penale che c’è». La magistratura, appunto. E chi volete che se ne occupi altrimenti? Eppure è bastato che il ministro dell’Interno accostasse la parola giudici alla parola internet e subito quella stessa caviar gauche subito pronta a schifarsi, ogni qualvolta il premier parla di persecuzione e accanimento politico di una parte della magistratura, si è messa a strillare e a battere i piedi dicendo che no, i giudici non devono tirar palle contro la Rete. Beppe Grillo vede in questa possibilità «un’intimidazione» e il buon Dario Franceschini, di cara memoria, in un messaggio, naturalmente su Twitter, scrive che «accusare la rete è come accusare le Poste del contenuto delle lettere».
«Io voglio evitare che mio figlio di 12 anni, navigando sul web, capiti su pagine che inneggiano al terrorismo, alla mafia, alla pedofilia. Se c’è la collaborazione dei gestori, il problema si risolve», puntualizza Maroni. E collaborazione fa rima sempre con espressione, nel senso di «libertà d’apostrofo». Ma i sinistri osservatori degli accadimenti italiani, la libertà d’espressione continuano a vederla a loro modo anche quando ci si avvicina al problema dei comizi. Vanno bene i vari No B-Day con urla e insulti di piazza della serie: «Forza spazziamolo via». Ma non va bene, nel senso che non è libertà d’espressione, quando il Cavaliere tiene invece un comizio civile in piazza Duomo. Mentre tornano ad andare bene fischi e urla di un manipolo di scalcinati, magari col volto coperto, che vorrebbero averlo tra le mani per stritolarlo.
Bizzarro, no? Se è vero come dovrebbe essere vero che il web non è terra franca dovrebbe anche essere possibile perseguire i reati online: impedire che la rete diventi solo una cloaca dove rovesciare ogni peggior istinto. E così passando dalla piazza virtuale, a maggior ragione, a quella reale, dei comizi.

Dove libertà di espressione non significa libertà di insulto o istigazione a delinquere. «Non sono d’accordo con te ma darei la vita per lasciarti esprimere le tue idee», diceva Voltaire. Visto come gira c’è da augurarsi che non lo prendano in parola.

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