Si può lasciar perdere un uomo come un ombrello? Delle volte sì, o quasi. Allinizio del romanzo Lamore o quasi dellirlandese Catherine Dunne, vola via sotto la pioggia strappato da una raffica di vento. «Sarebbe inutile rincorrerlo», sa la protagonista infradiciata. «E così lo lascia andare». Ma chi? Che cosa? Ombrello o marito? Al momento è il parapioggia: rovesciato e ormai inservibile. Otto anni prima, allo stesso modo - nemmeno Rose può impedirsi di ripensarci -, era il suo uomo che «così, di punto in bianco», tempestivo come una tempesta di primavera, «se ne era andato con la valigia piena di ventanni di matrimonio», ribaltando lesistenza di lei e dei loro tre ragazzi.
Ma la prima scena di Lamore o quasi (Guanda, pagg. 318, euro 15,50; traduzione di Eva Kampmann) è anche più allusiva ed esemplare: rappresentativa, simbolica ed evocativa come unallegoria. Vi si vede la donna sulluscio, le braccia stracolme di borse, in mano il suo riparo vigliacco e traditore, mentre armeggia maldestra per aprire la porta già tutta bagnata e scivolosa. La spesa? La casa? La smania di raggiungere il domestico rifugio?
No, niente di tutto questo, e non solo perché il capofamiglia si è dileguato da un pezzo con le folate daprile. Rose entra invece - alla fine sì, riesce a entrare: riemerge, guadagna la riva e, con la soddisfazione di un naufrago, si rimette in piedi sulla terra ferma - nel suo posto di lavoro. È un posto suo e il capo è lei: direttrice di una ditta di catering. «Bonne Bouche Catering»: dicitura che traduce in termini glamour, modaioli, imprenditoriali, e moltiplica su (pro)porzioni da calcolare in cifre con due zeri, il vecchio impegno - già assunto in veste di moglie e madre - di apparecchiare la tavola, arrotolare roulade e guarnire vassoi di variopinte salsine e croccanti insalatine per clienti riuniti a centinaia. È cambiato tutto, si direbbe. O: è cambiato tutto?, si domanderebbe. Quando Ben prese il volo, Rose lo vide svaporare tra i fumi delle uova che bollivano nella casseruola. «Allepoca la sua vita era tutta pagnotte, pizzette e panini: montagne di pasta lievitata che crescevano e crescevano nel calore inebriante della cucina di casa». Adesso che è sola, le mani le infila in pasticci di salmone e tajine e, con fare dirigenziale, con piglio manageriale, spunta liste della spesa come registri contabili «scalogni, peperoni, pomodori...» (intanto il suo commercialista verifica il tornaconto sul registratore di cassa). Il cambio scena fa un effetto trionfale e esilarante. Prelude però a un colpo di scena tanto teatrale quanto spiazzante.
Teatrale, va detto, è ogni gesto della prima attrice come delle comparse che lattorniano nei panni di aiutanti. Rose e le sue socie si muovono come fossero sempre al centro dellattenzione di un pubblico, o sotto locchio di una telecamera, o sotto lo sguardo divertito della loro autrice, che sullo scambio e lalternanza dei ruoli (mater familias e manager dimpresa, donna di casa e massaia in carriera, cuoche emancipate dai fornelli per riprendere in pompa magna a spignattare) gioca tutto lumorismo del suo racconto. Cè poco da ridere però. Perché non si fa in tempo, «con fare deciso a staccare le foglie esterne del lollo rosso» preparando il cenone per un giro di amici di famiglia - «animali pericolosi, sempre preoccupati di farti stare al tuo posto» -, che ecco riappare la bestiaccia pronta a far rientrare nei ranghi le libertarie casalinghe. Bestiaccia di famiglia: smarrita e rientrata allovile. Il babbo prodigo tornato dai figlioli e annunciato da quella frase pronunciata per caso e per oscura premonizione.
Lamore o quasi è costruito così: è pieno di segnali, presagi, sortilegi, spie apotropaiche e battute scaramantiche. La pasionaria Catherine Dunne, da anni impegnata a Dublino nella campagna per la legislazione sul divorzio e lemancipazione delle donne irlandesi, dimette da scrittrice i toni rivendicativi dellengagement e si abbandona al gioco delle coincidenze, degli intrecci, delle trappole: intrigante nella narrazione. È un caso che a Rose sfugga un «Ben... tornato», rivolto allamica che - «Come bentornato?!» - già teme e sa che finirà per innamorarcisi ancora.
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