Milano - La «belva» ha un volto da ragazzino che mal si addice a alla tragedia che ha provocato e alla scia di dolore senza fine che, al volante di un Suv da smargiasso, ha lasciato dietro di sé. Sopracciglia folte da adolescente, labbra carnose, sguardo mite, Goico Jovanovic, 24 anni tra un paio di mesi, è il nomade slavo che giovedì pomeriggio, alla Bovisa, ha investito e ucciso Nicolò Savarino, il vigile di quartiere deciso a impedirgli di andarsene dopo aver commesso un’infrazione all’interno di un parcheggio. Gli investigatori della sezione omicidi della squadra mobile, in una lotta contro il tempo e grazie ai vantaggi offerti da un mandato di arresto europeo e dalla collaborazione tra le polizie europee, sabato sera alle 22.30 lo hanno individuato a Kelebjia, una località ungherese di circa 3mila abitanti al confine con la Serbia dove il balordo, alla guida di un’auto «pulita», era riuscito ad arrivare da poco più di 20 ore. Da lì Jovanovic, forte di numerosi appoggi e di una notevole disponibilità economica, si apprestava a raggiungere l’aeroporto di Belgrado e a fuggire in Sud America. Rinchiuso in un carcere ungherese, nelle prossime ore si attende la sua estradizione in Italia.
Lo slavo è stato bloccato proprio al posto di confine tra l’Ungheria e la Serbia, mentre era da solo in macchina. La polizia ungherese, avvertita dai colleghi italiani, sapeva già di trovarsi davanti a un noto pregiudicato, nato in Germania ma residente in Italia, con alle spalle reati come furto e truffa e fortemente indiziato per l’omicidio volontario di un uomo 48 ore prima a Milano, ma ha simulato un normalissimo controllo di frontiera. Jovanovic, di fronte agli uomini in divisa, ha mantenuto la calma, mostrando documenti falsi e declinando false generalità. Lo slavo si è servito infatti di uno dei tanti alias che adopera da quando è in Italia, come Remi Nikolic, Goico Nikolic e Davide Jovanovic, tanto per citare i più noti. I poliziotti, però, lo hanno portato in caserma con la scusa di doverlo sottoporre a ulteriori controlli e, a quel punto, il giovane deve aver cominciato a capire di trovarsi nei guai. Intorno all’una di notte, dopo i risultati degli esami dattiloscopici, non ci sono stati più dubbi: quel ragazzo era proprio la «belva» ricercata a Milano. E per Jovanovic è scattato il fermo per omicidio volontario e resistenza a pubblico ufficiale.
Come sempre l’intercettazione dei telefoni ha avuto la sua importanza in questa indagine. Tuttavia nessuno smentisce di aver messo sotto torchio pesantemente nelle ultime ore le sorelle di Jovanovic, residenti a Busto Arsizio (Varese) dove anche il balordo risulta abitare ufficialmente. Sono stati sentiti a lungo, inoltre, anche gli amici e i conoscenti dell’uomo a Milano, dove il giovane abita di fatto da diversi anni (in particolare la famiglia Jancovic) e diversi slavi che vivono nel campo di Bollate. L’arrestato, infatti, spesso girava in città in compagnia di una nota banda di truffatori del noto insediamento di nomadi al confine nord ovest della città. Il giovane, subito dopo l’investimento, sarebbe stato aiutato da una vera e propria rete di protezione di parenti e amici che gli ha messo a disposizione ogni tipo di risorse. Anche il 28enne nomade sinto al suo fianco a bordo del Suv al momento dell’omicidio, è fuggito all’estero, forse in Francia, grazie a questi «amici».
E a proposito di questo secondo nomade, ieri mattina il dirigente della squadra mobile Alessandro Giuliano e la sua vice Alessandra Simone, hanno assicurato che al momento «non c’è un altro ricercato». Un’affermazione però che non esclude un seguito delle indagini alla ricerca di questo secondo nomade.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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