- Il “Nostradamus” delle elezioni americane, tal Allan Lichtman, si era detto certo: vincerà Kamala. Pare che prima di ora avesse sbagliato solo una volta. Adesso siamo a due.
- Repubblica qualche giorno fa aveva intervistato Ian Bremmer, il quale lanciava l’allarme sul fatto che Trump era “pronto a scatenare nuovi disordini questa volta aiutato da Musk”. Peccato abbia vinto The Donald. Ciaone.
- Ho conservato lo screenshot degli articoli di Repubblica di due giorni fa. Trump che invoca spari sui giornalisti, Trump che denuncia il furto delle elezioni, gli indecisi “che rilanciano la corsa di Kamala Harris” perché “ritorna l’entusiasmo”. S’è visto: nessuno stato in bilico, vittoria schiacciante repubblicana. E adesso aspettiamoci le analisi del giorno dopo di quelli che ci avevano detto il giorno prima l’esatto opposto di quanto sarebbe successo.
- La verità è che gli Usa non sono la California, non sono New York, la Columbia University e tutto quello che normalmente trova spazio sui giornali Usa e su quelli internazionali. L’America è fatta di operai, piccoli imprenditori, commercianti, gente che lavora nelle fabbriche e che estrae il gas o il petrolio. Signori più interessati a sapere se pagheranno meno l’energia che a “salutare con un ‘miao’ il collega che si percepisce gatto” (copyright Alessandro Bonelli). Gente che sulle guerre in giro per il mondo crede ormai poco agli annunci pacifisti di chi in quattro anni è riuscito a mandare nel caos mezzo mondo (Afghanistan, Ucraina, Russia, Medio Oriente) senza fare nulla per la pace.
- Se Saviano non esistesse, bisognerebbe inventarlo. Secondo lo scrittore la colpa della vittoria di Trump (ehm, Roby: si chiama democrazia) sta tutta nei social. “Senza regole per i social nessuna democrazia è più possibile”. “Social e web lasciati senza regole hanno permesso Trump. La fogna di Twitter (nel frattempo è diventato X), di Facebook, Instagram e TikTok lasciata senza regole, senza competitor europei”. A parte che questo suo intelligente ragionamento Saviano lo pubblica - ipocrisia massima - proprio sui social. Ma poi scusa: quattro anni fa, quando Biden vinse le elezioni, non c’erano forse lo stesso i social? E non ha forse Zuckerberg “confessato” di aver censurato alcune posizioni sul Covid su ordine di Joe Biden? Allora, magari possiamo anche essere d’accordo sulla “fogna dei social”. Ma non può valere solo quando vince il candidato che vi sta sulle palle.
- Gli analisti del giorno dopo, cioè Maurizio Molinari, ci spiegano che Trump ha vinto per le sue posizioni economiche contro il carovita, per la promessa di bloccare l’immigrazione e sulle guerre scoppiate in questi anni di regno di Biden. Grazie al cavolo.
- Qualcuno insinua che con la vittoria di Trump adesso per Elon Musk il futuro “sarà straordinario”, soprattutto per le sue aziende. Allora, amici miei: il fondatore di Tesla e SpaceX invia razzi sullo spazio che tornano indietro da soli sani e salvi. La sua tecnologia è talmente avanti, e necessaria negli Usa, che avrebbe fatto affari sia con Kamala che con The Donald. Se Elon ha sposato la battaglia di Trump è per le sue convinzioni sul “free speach”, che poi è lo stesso motivo per cui ha buttato un sacco di soldi su X.
- Ah, ma Melania non doveva chiedere il divorzio da Trump? Ieri era sul palco, sorridente, al suo fianco. Eppure ricordo i dotti articoli sugli abiti indossati per ribellione, sul fatto che presto avrebbe mollato tutto, sarebbe scappata dal puzzone. E invece…
- Occhio perché in Germania viene giù tutto.
- La parte migliore del discorso di Trump? Quando fa una mastodontica marchetta al “bellissimo libro” della moglie Melania. Business is business, sempre.
- Il dato più clamoroso di queste elezioni riguarda forse il voto delle donne e quello dei giovani. Perché se c’era una certezza in questa elezione era che “le donne e gli studenti” avrebbero dato la spinta necessaria a Kamala Harris. Niente da fare. Secondo i sondaggi tra gli under 30 alla fine The Donald e l’ex vicepresidente si sono divisi il piatto mentre tra le donne il repubblicano è via via risalito. Neppure gli ispanici hanno scelto lei. Anche qui, sondaggi da rivedere.
- La cosa più incredibile, forse, è che stavolta gli americani hanno scelto Trump pur conoscendolo. Avendolo cioè visto all’opera. E avendone conosciuto i limiti, gli eccessi, i processi, le accuse di molestie, l’attacco della buona stampa e tutto il resto. Lo hanno scelto in maniera ancor più consapevole del 2016. E soprattutto conferendogli un mandato pieno, sia a livello di grandi elettori che di voto popolare. Ed è questo il sintomo dello scollamento totale tra l’America vera e i suoi narratori, quei giornali così attenti alle istanze delle minoranze da non capire fino in fondo le richieste di chi gli Usa li costruiscono tutti i giorni.
- Nei commenti si legge, quasi con disprezzo, che gli americani hanno scelto gli sgravi fiscali alla “politica delle identità”, intesa come la difesa molto woke e decisamente politically correct di femministe, neri, latini, Lgbtq. E che gli elettori hanno dato il loro assenso alla “deportazione di massa” dei migranti illegali. Due appunti. Primo: la parola “deportazione” è l’errata traduzione di una parola inglese che andrebbe tradotta con “espulsione”, molto più banale. Secondo: anche Kamala Harris nei suoi comizi prometteva di mettere in campo politiche per sbarrare i confini, esattamente come The Donald. Ma chissà come mai i suoi annunci non passano per fascisti.
- Giorgia Meloni, checché ne dica Salvini, ha fatto bene a non schierarsi apertamente con Trump. Resta comunque il leader di un Paese che deve avere relazioni sia con l’una che con l’altra parte. Anche perché non credo che la premier sia preoccupata: magari con Biden aveva costruito una certa relazione (vedi il bacio alla Casa Bianca), ma Giorgia può vantare un solido rapporto con Elon Musk che di Trump diventerà uno dei maggiori consiglieri.
- A dimostrazione che a contare sono i fatti e non gli annunci, sappiate che a Dearborn, città a maggioranza araba in Michigan, ha vinto Donald Trump. Sapete perché? Perché alla prova dei fatti Kamala Harris e Joe Biden sulla guerra a Gaza “non hanno fatto nulla”, secondo il loro punto di vista. Contano poco gli annunci, le belle parole, il “farò di tutto per proteggere i palestinesi” quando eri al governo e avresti potuto farlo. Se il voto non è ideologico, e va oltre le frasi a effetto di Trump, ecco che la gente capisce che in verità le promesse di Kamala erano vuote perché fatte dal pulpito di chi avrebbe già dovuto mettersi all’opera. Governando.
- Ci hanno disegnato Kamala Harris come la grande svolta dei democratici e l’hanno pompata oltre l’inverosimile. È la dimostrazione, alla fine, che ormai i media tradizionali contano come il due di coppe quando briscola è bastoni.
- Oggi è il giorno dei rosiconi, di quelli che ci avevano sperato, di chi aveva spinto Kamala Harris convinti che l’ex vicepresidente potesse davvero battere Donald Trump perché “figurati se gli americani rivotano davvero quel puzzone”. È un brutto giorno per Massimo Giannini, che, non potendo accusare il fascismo, la butta nel caro vecchio “ha vinto la paura” senza ricordare che è proprio sulla “paura di Trump” che si basava l’intero programma elettorale di Kamala Harris. Giornata nera anche per Roberto Saviano, convinto che sia tutta colpa “dei social”, della “fogna di X”, dimenticando che fu Biden a costringere Mark Zuckerberg a inquinare la libertà di parola ai tempi del Covid controllando l’informazione online. Non potevano mancare ovviamente Rula Jebreal e Alan Friedman. Ma il migliore di tutti resta Roberto Speranza. Ricordate quella foto di lui col cartello di Kamala Harris? Tornato dalla Convention democratica, l’ex ministro si disse convinto che “un vento nuovo spira negli Stati Uniti” e che il Pd avrebbe dovuto “stare dalla parte del cambiamento”, cioè di Kamala. E ancora: “I democratici americani hanno i piedi ben piantati nella working class, hanno messo al centro il lavoro”. I risultati elettorali hanno dimostrato l’esatto contrario, ovvero che i dem si sono dimostrati ancora così lontani dalla classe sociale che un tempo rappresentavano. Non basta mostrare sul palco lady gagà o Taylor Swift, che riempiono stadi ma non le urne; non serve nemmeno difendere le istanze dei genderless o proclamare la cancel culture per convincere chi, ogni giorno, lavora per mettere insieme il pranzo con la cena. Piuttosto la sinistra dovrebbe tornare a parlare di ciò che interessa alla gente: stop all'immigrazione clandestina, meno tasse, più lavoro.
- Ancora una volta i democratici americani sono sbigottiti. Come ha potuto un uomo che considerano squilibrato, strano e fascista sconfiggerli per la seconda volta? Daranno la colpa alla disinformazione, alle bugie di The Donald e magari a Musk.
Ma la verità è che i dem ormai si sono concentrati sulle minoranze, hanno assunto un tono paternalistico e hanno dimenticato la “working class”. Nono basta mostrare sul palco lady gagà o Taylor Swift per convincere chi, ogni giorno, combatte per mettere insieme il pranzo con la cena.- Come è bello che google translate traduca “Trump” in “Briscola”?
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