Dal western al postapocalittico, dalle frontiere tra gli esseri umani e i tori, dai cani ai cavalli. Macerie, sogni, serial killer e poche speranze. È lo scrittore Vincenzo Pardini il vero weird della letteratura italiana contemporanea. È da mo che le sue bande di malfattori, i suoi rapaci orrorifici, le sue volpi e le sue asce parlano agli uomini per il tramite di una prosa ricca e spiazzante. Ce lo dimostra e conferma anche nel romanzo Il valico dei briganti recentemente dato alle stampe per Vallecchi. Storia di Vlademaro Taddei e del suo amico Jodo che partono da Bagni di Lucca nella prima metà dell'Ottocento e sbarcano in America per fare i portavalori a San Diego. Come sfondo del romanzo c'è la Garfagnana, e ovviamente c'è tutto il mondo immaginario che l'autore sta costruendo a partire da Il falco d'oro.
In Il valico dei briganti c'è un bandito che viene raccontato dall'infanzia fino alla lunga vecchiaia e il brigantaggio dell'Ottocento, che infestava tutta l'Italia, è al centro della storia perché per Pardini questi personaggi erano dei veri e propri ribelli che contestavano un sistema di vita piuttosto duro. Persino Pascoli in una sua famosa poesia parla del «Passator cortese», a testimonianza che quella del brigante era una figura controversa ma dal fascino indiscusso. L'autore dice che a differenza dei malfattori contemporanei i briganti dell'Ottocento avevano una loro etica, delle regole comuni. E ne sa qualcosa lui, che per quarant'anni ha fatto la guardia giurata in giro per la Toscana.
Pardini parte da vicende vere, lette su antichi libri di storia locale, e poi con la penna intinta nello stesso inchiostro dei racconti di Poe, più che nel Naturalismo di Maupassant, porta avanti una storia che è, in definitiva, la storia di un grande tradimento e di una grande vendetta. I briganti di Pardini furono realmente decapitati perché al tempo Lucca sottostava al Codice Napoleonico e i lucchesi, dominati dai francesi, non avevano aggiornato un Codice che in Francia era già stato rimaneggiato da decenni e infliggeva la pena di morte solo per reati gravissimi.
Prende spazio, tra le pagine, e batte in testa come un chiodo Mastro Titta, il boia del Vaticano. Mastro Titta non si limitava soltanto a decapitare: mazzolava, squartava e infilava le teste in un pugnale per poi piantarle negli angoli più frequentati di Roma come monito per chiunque. Una cosa terribile. Così facendo Pardini inquadra un'epoca storica, ma poi c'è l'invenzione pura del narratore perché ritorna Jodo Cartamigli, una figura a cui aveva dedicato anni fa un libro e da cui trassero un film western. È chiaro che Pardini racconta il passato per raccontare anche il presente. Lo fa spesso, come nel caso del libro L'accecatore (Pequod) che, scritto più di dieci anni fa, racconta di uno strano volatile che ammazza le persone accecandole, si espande come un virus e terrorizza la gente mangiandogli i globi oculari. L'autore dice che lo sente quando sta scrivendo qualcosa di forte, qualcosa che rasenta la premonizione. Avverte un'atmosfera di tensione nell'aria, l'accumulo di un presentimento, allora ecco che vengono fuori le storie a lui più congeniali. Vede nell'uomo la tragedia e la commedia. Il massimo del cinismo trasformato in farsa. Spesso la commedia collima con la sofferenza. Così, nei suoi testi, c'è una sottile linea che riesce a trasfigurare la vita in una tragica commedia.
Pardini lesse anni fa Non è un paese per vecchi di Cormac McCarthy, ma a differenza di quel che dicono in molti lui non si riconosce nella scrittura dell'americano e dice che i loro mondi sono troppo diversi per sostenere un paragone simile. Il valico dei briganti fu scritto a macchina una quarantina d'anni fa. Non l'ha guardato per anni e anni, fino a che s'è ricordato di avere nel cassetto una storia del genere. L'ha ripreso in mano e trasformato completamente fino a renderlo definitivo. Lavora con le parole che hanno la musica dentro, cerca accordi musicali. Bisogna che la pagina sia come uno spartito e infatti ne Il valico dei briganti oltre alla storia c'è una musica interna. Nella scrittura tiene presente musicalità, pittura e sentimento. «Tu quando descrivi ci devi mettere dentro il colore. Sennò non vedi niente!» confessa.
Però per fare questo l'autore piega la sintassi, adatta il linguaggio a quello che racconta. «Se no tu fai sta hosa qui» dice in toscano, «tu fai il compitino di scuola...».Ecco a voi lo scrittore strano, sconcertante, e il suo mondo deragliato.
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