Il Cavaliere e il Senatùr siglano l’asse di ferro sulla devoluzione

Berlusconi: «Mi spenderò fino alla fine per il referendum, se passa, Prodi vacilla». E si prepara ad andare a Pontida


Si sono sentiti più d’una volta in questi ultimi giorni. Per scambiarsi le rispettive impressioni sul voto, certo. Ma pure per fare il punto sulle prossime mosse. Con una inaspettata inversione di quei ruoli che per anni hanno caratterizzato le cene del lunedì a Arcore, con Silvio Berlusconi a mediare e smussare le improvvise accelerazioni di Umberto Bossi. Ma i tempi cambiano. E in questi ultimi giorni è il Senatùr a vestire i panni del pompiere, cercando di arginare un Cavaliere sempre più convinto che il voto sia stato deciso prima dai brogli e poi da una sentenza della Cassazione «politica e annunciata». Un pronunciamento che il premier considerava scontato al punto da organizzare per le 15 di mercoledì (tre ore prima del verdetto) una conferenza stampa nella quale puntare il dito contro la Suprema Corte. Una decisione poi rientrata dopo le insistenze di Gianni Letta e dei consiglieri più stretti.
Così, con Bossi il premier si sfoga a lungo. Sull’esito del voto, sui conteggi «che definire bulgari è un eufemismo» e su Giuseppe Pisanu. Che, dice il Senatùr, «ha fatto quello che sa fare meglio, il democristiano». Ma se pure il leader della Lega è convinto che sia il ministro dell’Interno il maggior responsabile di una sconfitta «viziata dai brogli», da Gemonio arrivano inviti alla calma. «Ormai - è il ragionamento di Bossi - le elezioni sono andate. Insomma, cosa fatta capo ha». E quindi, «ora concentriamoci sulle amministrative e sul referendum». Ed è proprio questa l’accoppiata su cui si va rinsaldando sempre di più quello che nella semplificazione giornalistica è da tempo noto come l’asse del Nord. Con il Senatùr che dopo il deludente risultato elettorale della Lega (colpa anche dell’alta affluenza, visto che numericamente i consensi del Carroccio sono aumentati) punta tutto sulle amministrative del 28 maggio che coinvolgono molte delle roccheforti leghiste (da Milano a Varese, da Novara a Treviso) e, ovviamente, sul referendum confermativo della devoluzione (la data non è stata ancora fissata, ma potrebbe essere il 18 o il 25 giugno). E con il premier che dal canto suo sa bene quanto i due appuntamenti con le urne possano servire a rinsaldare la sua leadership, galvanizzare l’elettorato della Casa delle libertà e, possibilmente, iniziare a tirare le prime spallate a Romano Prodi. L’intesa, dunque, è chiara: con Bossi che darà sostegno al premier a tutto campo (ha iniziato già mercoledì appoggiando la scelta di Berlusconi di non riconoscere la vittoria dell’Unione) e il Cavaliere che ha assicurato una massiccia campagna referendaria, «soprattutto negli ultimi 15 giorni prima del voto» (intanto ha già portato in dote alla Lega la costituzione dei comitati di An per il «sì»). Perché, hanno concordato i due, «una vittoria sulla devoluzione sarebbe davvero una bella rivincita», tale da far vacillare Prodi.
Insomma, al di là delle tanto annunciate «mani libere» del Carroccio, almeno fino al referendum l’asse con Berlusconi resta più saldo che mai. Poi, certo, tutto può succedere. Perché in caso di vittoria del «no», è chiaro che sarebbe fortissima la tentazione della Lega di liberarsi di qualsiasi vincolo di coalizione. Soprattutto se, come è possibile, l’esito delle urne consegnerà un’Italia spaccata tra Nord e Sud (con la vittoria del «sì» nel Settentrione e quella del «no» nel Meridione).
E su questo fronte il Carroccio ha già iniziato a lavorare. Non a caso, al Consiglio federale di martedì Bossi ha concordato sulla necessità di rilanciare il Parlamento del Nord a ridosso dei prossimi appuntamenti elettorali («penso di convocarla per il mese di maggio», dice il presidente dell’assemblea Enrico Speroni).

E sempre prima del referendum il Carroccio tornerà pure a riunirsi a Pontida, per alzare il livello di attenzione e accelerare sul federalismo fiscale. E non è escluso che, sarebbe la prima volta, possa esserci anche Berlusconi.
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