Cavendish un fulmine nel mondiale più piatto L’Italia sta a guardare

Una bella lezione d'inglese e tutti a casa. Gran Bretagna e Australia padrone assolute, chi l'avrebbe detto soltanto dieci anni fa. Il nuovo ciclismo è un Commowealth giovane e sprintoso, che sul terreno dell'alta velocità non lascia spazio a nessuno. Nel Mondiale più scontato, prevedibile, noioso della storia, una mostruosità senza sussulti sul filo dei 50 orari che nemmeno ai tempi della Milano-Vignola, in questa giornata così misera e vuota, dopo 260 inutili chilometri contano soltanto gli ultimi 200 metri: qui, puntuale, l'ordine d'arrivo e il podio già scritti alla vigilia.
Vince e si veste d'iride il britannico Cavendish, che nelle vene ha almeno un po' di italianissimo Chianti, vivendo beatamente da vari anni in Toscana. Svitato ed eccentrico, spaccone e a volte genere cafonal, il giovane british è il più forte sprinter del pianeta da almeno un paio d'anni. Normale e sacrosanto, direi persino doveroso, che vinca ora il Mondiale di categoria, ritagliato apposta sulle misure dei grandi velocisti. Non a caso, alle sue spalle finiscono il canguro Goss e il tedesco Greipel, confermando in pochi attimi le gerarchie di una stagione intera, o meglio di un'epoca intera. Cavendish vince da dominatore spietato. Non c'è storia, non c'è partita: la sua squadra controlla la corsa fino allo scodellamento dello sprint, lui a quel punto rimonta tutti come da soprannome (Cannonball) e quasi li doppia, sfoderando la solita forza dirompente che già gli è valsa la Milano-Sanremo e tante belle tappe nei grandi Giri.
Complimentissimi allora a Cavendish, signore dello sprint, capace di riportare l'iride nel Regno Unito dopo 46 anni (Simpson 1965). Non è facile vincere da strafavoritissimo, l'impresa sta anche nella forza della personalità. A questo punto però non so più come prendere tempo per evitare l'argomento Italia, dunque è inevitabile arrivare a bomba sull'Italia. Cosa dire: non ha senso sparare sui tacchini. In questo contesto elitario, dove gli sprinter migliori sono tutti personaggi di livello altissimo, noi ci siamo presentati con il meglio del pollaio, Bennati e Modolo. Inevitabile il disastro. Annunciatissimo, ma sempre disastro. Arrivare nei primi dieci si sarebbe rivelato un vero miracolo: difatti siamo quattordicesimi (Bennati). Inutile avviare processi, come piace a noialtri dopo una sconfitta azzurra. In questo caso, è tutto secondo previsioni e caratura. Dopo Cipollini, dopo Petacchi, non abbiamo di meglio nell'alta velocità. I nostri possono vincere una valanga di tappe al Giro di Padania, ma buttati nel grande giro dello sprint sono improponibili. Stupido star qui adesso a infierire su questo e su quello: bisognerebbe piuttosto infierire sui supertecnici e i superopinionisti che fino all'ultimo minuto hanno davvero pensato di poter competere con i Cavendish. Loro, più dei Bennati e dei Modolo, dovrebbero correre a nascondersi.
Certo, non ne esce benissimo nemmeno il ct Bettini. Non perché abbia perso il Mondiale, ci mancherebbe: stavolta non avrebbe vinto neppure un ct nato a Nazareth. La sua vera colpa è più grave: ha sbagliato completamente la valutazione della corsa. Ha parlato di un tracciato comunque selettivo, non ha dato credito a Cavendish. Casualmente, abbiamo qui sotto al naso una media spaventosa e Cavendish campione del mondo. Un ct realista avrebbe detto: è una corsa per velocisti d'altissmo livello, noi ne siamo sprovvisti. Tenteremo il possibile, faremo quello che ci riesce, portando i nostri giovani a fare una bella esperienza. Niente di tutto questo: ambizioni arroganti, nazionale impostata su Bennati, che in vita sua non ha mai vinto una corsissima, e Cavendish giudicato inadatto per un arrivo in leggera pendenza (come no: se non lo fermano, decolla).


E' penoso rinfacciarglielo, ma Bettini torna da Copenhagen senza averne azzeccata una. En plein, percorso netto. Per l'Italia, non entrare nei primi dieci ad un Mondiale è impresa storica. Il ct deve porsi delle domande. Magari darsi pure una risposta.

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