Il centrodestra: missione inevitabile ma ora il governo deve dire la verità

La Cdl: la spedizione non sarà facile, ecco le nostre condizioni

Il centrodestra: missione inevitabile ma ora il governo deve dire la verità

Francesca Angeli

da Roma

Sì alla missione Onu in Libano. No all’invio delle truppe italiane «allo sbaraglio». La Casa delle libertà fissa paletti precisi prima del voto previsto per domani in Parlamento, dopo che il Consiglio dei ministri avrà messo a punto la risoluzione che poi sarà votata dalle Camere.
Il centrodestra ha già ribadito che «responsabilmente» non intende opporsi all’invio dei nostri soldati in Medio Oriente insieme con il contingente Onu. Ma al fatto che la missione è già per sua natura complessa e rischiosa si aggiungono altri fattori di pericolo. Prima di tutto la mancanza di chiarezza sulle regole d’ingaggio e poi anche «l’equivicinanza» perseguita dal ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, che ha aggiunto benzina sul fuoco.
A definire la posizione della Cdl interviene l’ex ministro della Difesa, Antonio Martino. «Non siamo pregiudizialmente contrari anzi riteniamo che la missione vada fatta - spiega Martino -. Ma il governo deve dire tutta la verità agli italiani». Il nodo da sciogliere è la natura della missione, prosegue l’ex ministro, «apparentemente di mantenimento della pace, del tipo peacekeeping, in realtà, visto che Hezbollah ha avanzato delle riserve, Israele ha detto che risponderà a eventuali attacchi, è chiaro che potrebbe diventare una missione di peace enforcing, di imposizione della pace». E il pericolo per i nostri soldati, conclude Martino, è quello «di trovarsi esattamente tra due fuochi».
Insomma i nostri militari non possono rischiare di trovarsi impreparati e con le mani legate in un teatro di guerra. Un punto condiviso da tutta la Cdl. Se è «doveroso per l’Italia garantire l’attuazione della risoluzione dell’Onu concernente il conflitto in Libano - dice il senatore Udc, Francesco D’Onofrio - è decisivo evitare di mandare le truppe italiane allo sbaraglio nel caso fossero prive di adeguate regole di ingaggio». Non si può chiedere al Parlamento «un voto al buio» in una situazione tanto delicata anche per l’azzurro Osvaldo Napoli. «Occorre evitare l’illusione che la missione in Libano sia nulla di più che una passeggiata di salute per i soldati e dunque è bene attendere gli ulteriori adempimenti dell’Onu», avverte Napoli, che si chiede fra l’altro «su cosa si vota, per quale tipo di mandato e quali limiti vengono imposti all’azione della forza militare?». Una risposta a queste domande è necessaria, conclude Napoli, prima di votare in Parlamento.
Anche Alfredo Mantica di Alleanza nazionale, vicepresidente della commissione Esteri del Senato, è disposto a dare il suo voto favorevole alla missione soltanto quando il governo avrà sgomberato il campo da tutte le ambiguità. «Esistono nel documento di compromesso varato dal Consiglio di sicurezza ambiguità e opposte interpretazioni che rischiano di compromettere l’esito di questa missione sulle quali il governo dovrà esprimersi con chiarezza», dice Mantica. Chiarezza indispensabile soprattutto «sulle regole di ingaggio, cioè i limiti e gli obbiettivi che saranno imposti alla forza internazionale». Non possono essere dimenticati infatti «i molti fallimenti che hanno caratterizzato le operazioni dell’Onu sullo scacchiere mediorientale», conclude Mantica.
Per Umberto Bossi la missione dell’Onu è comunque «un fatto positivo perché è l’unico modo per portare la pace». Il leader della Lega però sottolinea che «come tutte le missioni costa un sacco di soldi e quindi non si doveva fare. La posizione della Lega viene chiarita dall’ex ministro Roberto Maroni. «Siamo favorevoli a un intervento in Libano sotto l’egida Onu ma vogliamo capire qual è la posizione del governo italiano: si tratta di capire quali siano i limiti che verranno fissati dall’Onu e se la posizione dell’Italia rientra in questi limiti».

Maroni poi ricorda come su questo tema non ci siano vincoli di coalizione. Anche un altro leghista, Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato insiste sulla necessità che il governo Prodi dia «garanzie precise sul senso e sulla portata della nostra missione».

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