Musica maestro! Anche se, a volte, in «odor di plagio». Proprio così. Anche grandi compositori del passato, in un certo senso, hanno peccato copiando i loro colleghi predecessori. Per dirne uno gigantesco, Bach, tra i padri se non il Padre della musica occidentale, con le sue fughe e le sue armonie: da giovane si formò «ispirandosi», «imitando», elaborando, rielaborando le pagine del veneziano Vivaldi. Il Kapellmeister di Lipsia copiò copiosamente pure se stesso come un artigiano che usa e riusa i suoi materiali - visto che - lavorando sempre per qualcuno, la Chiesa o un monarca - dovette «sfornare» in continuazione brani e Cantate domenicali, buone per la messa o la Corte. Già, il «plagio» in senso (molto) lato e anche di più non come furto di musica per profitto e/o fama (ma inteso come citazione dichiarata o meno di altre opere, variazioni, spunti, suggestioni, stili preesistenti presi in prestito magari in maniera inconsapevole). Quasi nessuno ne fu immune e ne è immune (anche oggi): a quei tempi da Scarlatti a Mozart a Beethoven, fino a Debussy, Ravel, Stravinskij, Bartok, l'elenco è sterminato. La loro musica era fatta in certi passaggi di musiche precedenti, a volte in maniera chiara e manifesta, persino «dichiarata».
A illuminare questo mondo di «copiatori» e «imitatori» anche per un solo istante (in senso buono), di musiche che «parlano» di altre musiche, è stato il musicologo Roberto Favaro attraverso il nuovo saggio Musiche al Quadrato-Guida all'ascolto di ottanta capolavori della musica classica (editore Marsilio, pagg. 239, euro 14), appena arrivato negli scaffali. «C'è un patrimonio, una letteratura musicale sconfinata con capolavori che a tratti trovano la loro origine in qualche fonte preesistente attacca il professor Favaro, direttore della Civica scuola di musica «Claudio Abbado» di Milano Spesso siamo di fronte a musiche che non sono totalmente originali». Musiche che prendono spunto da materiali tematici, suggestioni stilistiche, da forme musicali specifiche per inventare qualcosa di inedito. Attenzione, però, ci tiene a precisare lo studioso: per quanto riguarda i periodi e i repertori «che tratto io, nessun comportamento doloso; soprattutto se si tratta di stile». A questo proposito, nel volume, c'è un capitolo che si occupa proprio di questo, in cui si parla di compositori e musiche che «recuperano atmosfere di un modo di scrivere musica, comporre, che viene riattualizzato», spiega. Per esempio: note del clavicembalista barocco Domenico Scarlatti che guardano alla tradizione popolare italiana o iberica; ci sono i Concerti brandeburghesi, sempre di Bach, che si ispira allo stile francese e allo stile italiano, creando una «sintesi»; ci sono opere ideate alla musica antica senza citarla in maniera diretta. In particolare, «ci sono momenti della storia della musica, come il Classicismo, inaugurato da Stravinskij continua Favaro in cui c'è proprio la volontà di recuperare il passato e di rivederlo in forme moderne». Poi figure riprese nel corso dei secoli: Bach, appunto, visto come un modello e quindi studiato, riproposto in varie forme, con altre arti e linguaggi, da colleghi postumi»; vedi autori come il belga Franck, il russo Shostakovic e il tedesco Hindemith. Come a dire «da niente non nasce niente», dietro «c'è sempre un'eredità, una terra su cui edificare il nuovo che avanza». Allora si ricordano Beethoven con le sue Variazioni costruite sulle note di Diabelli, Richard Strauss che, nel suo Métamorphoses cita il tema della Terza Sinfonia di Beethoven, l'Eroica; ne La boutique fantasque Ottorino Respighi cita Péchés de vieillesse che Rossini «scrive tra il 1857 e il 1868 negli anni del silenzioso ritiro francese di Passy», racconta nel libro l'autore. Poi le musiche del balletto Pulcinella di Stravinskij, che pesca da Pergolesi e non solo. Siamo del secolo Ventesimo, che in parte però è stato «risparmiato» dalla pratica delle musiche composte anche sulla base di altre musiche (tranne quelle dei compositori italiani della Generazione dell'80, Casella, Malipiero & Co; per le loro pagine, guardarono all'antichità). Si tratta di quella del Novecento, periodo in cui le Avanguardie, a partire dal pioniere Schoenberg in poi, passando per il movimento di Darmstadt (Germania), tagliarono i ponti con i linguaggi del passato, delle tradizioni, per proporre qualcosa di completamente diverso. Ma questa è un'altra storia.
Dulcis in fundo, nel libro si parla anche di altro modo di citare. «Un modo di citare praticato dai romanzieri prosegue il musicologo Un momento in cui la citazione viene moltiplicata. C'è lo scrittore che ha in mente una musica che gli può servire per il suo progetto narrativo; il quale prevede un musicista a cui viene chiesto di suonare la musica immaginata; infine, nel romanzo, la presenza del personaggio che di tutto questo si fa portavoce». Come a dire che «la citazione si porta dietro i suoi connotati musicali che vengono poi condizionati dal tessuto della scrittura e dell'ambientazione del libro in cui quella musica si trova inserita». Tutto questo, nel gran finale del saggio, nel capitolo titolato «Quattro romanzi da ascoltare. Quando la citazione è da ascoltare», con esempi legati a Gabriele D'Annunzio («L'onda della musica passava su teste immobili, coperte di capelli scuri, dilatandosi in una luce aurea, in una luce che fluiva dall'alto», da Il piacere) e a Italo Svevo.
Il libro «Musiche al quadrato» (quelle che in pratica vengono raddoppiate) sembra essere una nuova puntata di una neonata serie basata sulla scelta di un certo numero di opere da raccontare per «consigli d'ascolto»; il primo volume, nel 2020, è stato Musica per immagini (sempre Marsilio Editori).
«Il prossimo libro - anticipa Roberto Favaro - sarà incentrato sulla conversazione-dialogo tra gli strumenti, in particolare nella sinfonia, nel concerto solistico e nel quartetto. Gli strumenti si presenteranno sulla scena come attori».
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