La Chiesa polacca ammette: «L’arcivescovo era una spia»

Monsignor Wielgus ha confessato al Papa il suo passato da agente comunista: «Mi rimetto alle sue decisioni ma non ho fatto nulla di male»

Avviene tutto in poche convulse ore. Prima un comunicato dei vescovi polacchi che ammettono la verità ormai evidente: è vero, monsignor Stanislaw Wielgus collaborò con la polizia segreta comunista. Poi l’annuncio della Radio Vaticana, edizione polacca: Wielgus prenderà «canonicamente possesso dell’arcidiocesi di Varsavia oggi, venerdì 5 gennaio, alle ore 16» e domenica farà il suo ingresso in cattedrale. Un cortocircuito che fa il giro del mondo: il neoarcivescovo di Varsavia era una spia del regime. Le parole della Chiesa di Polonia, pesate una a una, sono definitive: «Vi sono numerosi e importanti documenti da cui risulta che padre Wielgus dette la propria disponibilità a collaborare, in maniera consapevole e riservata, con i servizi di sicurezza comunisti e che iniziò a farlo».
Come incipit del nuovo, importantissimo incarico, non poteva andare peggio, ma l’accusato non arretra e costruisce una sorta di linea del Piave sulle modalità dei suoi rapporti con il regime: «Non ho compiuto nessuna missione di spionaggio - si difende in tempo reale dai microfoni della Radio Vaticana - non ho mai fatto male a nessuno con le mie parole o il mio agire». E allora? Il documento saltato fuori e datato 23 febbraio 1978 è esplicito: «Io Grey Stanislaw (uno dei presunti pseudonimi utilizzati da Wielgus) concordo a collaborare con i servizi segreti della Repubblica popolare polacca durante la mia permanenza all’estero. La collaborazione si baserà sull’offerta di servizi di intelligence dalla Germania federale e da altri Paesi ostili». Wielgus ora prova a spiegare, contestualizzare, sfumare: «Mi dispiace molto di aver intrapreso viaggi fuori dalla Polonia, che erano i motivi di questi contatti: mi sembrava in quel tempo di dover continuare le mie importanti ricerche scientifiche e di acquisire una formazione per il bene della Chiesa». Anche se, precisa l’arcivescovo, «non voglio giustificarmi» e resta la consapevolezza del fatto che non avrebbe dovuto «avere alcuna relazione con i servizi. Mi sottometterò a qualsiasi decisione del Papa».
Una vicenda scivolosa e imbarazzante che il Vaticano sembra voler ridimensionare. I segnali paiono chiari: l’arcivescovo Slawoj Leszek Glodz va in tv e racconta che Wielgus ha confessato direttamente a Benedetto XVI il suo passato. Contemporaneamente, nel silenzio ufficiale fonti vaticane sottolineano che «tutti in quel periodo avevano contatti ed erano collaboratori con le autorità» e rimandano al comunicato del 21 dicembre. Quel giorno il Vaticano aveva dichiarato che «nel decidere la nomina del nuovo arcivescovo» erano state prese «in considerazione tutte le circostanze della sua vita, fra cui anche quelle riguardanti il suo passato. Ciò significa che il Santo Padre nutre verso monsignor Wielgus piena fiducia». Insomma, con ogni probabilità a Roma sapevano, ma forse non conoscevano fino in fondo la realtà. «Certo - osserva padre Adam Boniecki, per undici anni direttore dell’edizione polacca dell’Osservatore romano - la dichiarazione del Vaticano del 21 dicembre è parsa strana» e forse il Papa ha scelto Wielgus senza avere «una conoscenza completa del caso.

Un fatto è sicuro - aggiunge padre Boniecki - essere arcivescovo di Varsavia con questo esordio è una cosa orribile» e Wielgus potrebbe trovare da solo una via d’uscita: «Chiedere, dopo un certo tempo, di essere esonerato dall’incarico». Due polacchi su tre, secondo un sondaggio, vorrebbero al più presto un suo passo indietro.

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