Sale sul palco fra ovazioni e cori: «Viktor, Viktor». Matteo Salvini lo abbraccia e lui, che forse non si aspettava tutto quell'abbraccio della folla, per un attimo si emoziona. Porta la mano sul cuore, gli occhi lampeggiano. Poi Viktor Orbán, la star della giornata, non delude il pubblico leghista: «L'Europa ha bisogno di Salvini, il suo processo è una vergogna». Un calice amaro che Salvini, al microfono subito dopo a chiudere la manifestazione, intende bere fino in fondo: «Qualora i giudici dovessero condannarmi, andrò in carcere a testa alta. Processano chi ha fatto il suo dovere, ma non possono processare un intero popolo. Possono arrestare una persona, non un intero popolo».
Gli applausi corrono sul celebre pratone, dagli Usa applaude via social anche Elon Musk, ma il premier ungherese non si ferma ad un siparietto di circostanza. E trasforma il comizio in una requisitoria contro l'Europa: «Non cediamo i nostri paesi né ai burocrati di Bruxelles nè ai migranti. L'Italia è degli italiani, l'Ungheria è degli ungheresi. L'Ungheria è casa nostra e ci vogliamo sentire in casa».
Di sicuro, lui si sente a suo agio in mezzo ai militanti salviniani. Cita il 1848 e i moti che agitarono Ungheria e Italia: a Budapest si coltiva una memoria struggente per quell'epoca. Ma è solo un inciso, il presente è Bruxelles e i toni si fanno sempre più duri e bellicosi: «Non dobbiamo uscire da Bruxelles ma entrare con forza, deve essere occupata, tolta ai burocrati e ridata alla gente europea».
Orbán cita puntigliosamente tutti i paesi in cui la destra ha vinto o ha conquistato posizioni: «Domenica scorsa - è la conclusione di questo ragionamento - abbiano fatto un altro passo perchè Kickl è arrivato primo in Austria». La conquista dell'Europa non è più un miraggio, anche se i vertici della Ue in questo momento considerano il leader ungherese un paria da tenere ai margini, anche per le posizioni filoputiniane.
Lui insiste con la difesa dell'identità nazionale, minacciata dall'Europa, dalla sinistra, dall'immigrazione selvaggia: «Varcare un confine senza un permesso è un reato. In Ungheria il numero dei migranti», si intende irregolari «è zero». E nel dirlo disegna quel numeretto sbalorditivo nell'aria. «La sinistra europea e i burocrati di Bruxelles - riprende - insieme puniscono l'Ungheria, abbiamo dovuto sborsare 200 milioni di euro, un milione ogni giorno, perché non facciamo entrare i migranti. Questa è la vergogna di Bruxelles. Se continueranno a punirci, noi i migranti li trasporteremo da Budapest a Bruxelles. Se vogliono dei migranti che se li tengano».
È un discorso senza compromessi, quello di Orbán. Metà manifesto ideologico, metà d'assalto. E fra un'invettiva e un attestato di solidarietà all'amico italiano, c'è spazio per difendere anche la famiglia e i valori tradizionali, oggi messi a repentaglio dalle teorie sul fluid gender: «Il papà è un uomo, la mamma è una donna. Questo è scritto nella Costituzione dell'Ungheria».
Altra standing ovation, poi Orbán, che ha parlato in un osticissimo ungherese, chiude addirittura in italiano: «Viva i ragazzi di Buda, viva i ragazzi della Lega».
Qualche minuto dopo, concluso l'happening, Orbán e Salvini si ritrovano sotto il palco per la foto che sancisce la santa alleanza. E con loro ci sono gli altri leader che si sono alternati al microfono, dissertando di islamismo radicale, di immigrazione da contrastare, di patriottismo. Fra gli altri il portoghese André Ventura di Chega e l'olandese Geert Wilders. E Jordan Bardella, del Rassemblement National, che ha inviato un messaggio con un video in italiano. Marine Le Pen ha inviato un saluto, durante un evento del Rn a Nizza.
Anche Wilders viene preso a modello da Orbán quando racconta la lunga marcia verso Bruxelles: «Ha vinto e il suo partito ora è al governo». Nella coalizione di centrodestra che si è insediata quest'estate a L'Aja. Per ora il gruppo dei Patrioti è fuori dalla stanza dei bottoni a Bruxelles, ma in futuro chissà.
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