Chopin nelle mani di Kissin ex bimbo prodigio di Karajan

Chi tocca certe vette artistiche in età adulta, molto probabilmente è stato un bimbo prodigioso. Lo è stato certamente, e al massimo grado, Evgenij Kissin, 39 anni, cresciuto a Mosca, ma con residenze sparse nei punti nevralgici del mondo: New York, tanto per cominciare. E' con questo pianista che stasera (ore 21) chiude il bel ciclo messo a punto dal Teatro alla Scala, una mini rassegna pianistica, avviata in febbraio, per rendere omaggio all'anniversario di Chopin e Schumann. Per l'occasione, è stato mobilitato il gotha del pianismo contemporaneo, con punte in Krystian Zimerman, Maurizio Pollini e, appunto, Kissin, che propone il Concerto n.2 di Chopin con l'Orchestra Filarmonica della Scala diretta dal polacco Antoni Wit (seconda parte con la Quarta Sinfonia di Schumann). Forse il nome di Kissin non è altisonante quanto quello di altri colleghi, specie di ultima generazione, nel senso che lui non suona per le Olimpiadi, non è testimonial di articoli di lusso, non pubblica libri sui lupi canadesi, non è particolarmente bello o affascinante. E' un pianista vecchio stile, che non si cura delle ragioni del marketing, concentrato com’è sulle ragioni dell'arte pura, un volto e personalità da rivista specializzata anziché patinata. Un approccio che paga, alla fine. Senza fare tanti clamori mediatici, è un artista che riesce a riempiere le sale più esclusive del mondo mettendo d'accordo critica e pubblico. Milano l'ha conosciuto quando era un ragazzino, nel 1987, in un'epoca in cui non era così facile per un prodigio varcare i confini sovietici. Passò alla storia quel suo recital in Conservatorio, per la Società dei Concerti, quando tenne banco per ore con un fuori programma più lungo del programma stesso. Lui aveva sedici anni ed era al suo primo concerto nell'Europa di qua dalla cortina; l'anno seguente incontrò Herbert von Karajan che gli diede la consacrazione ufficiale. «Suo figlio è un genio», disse alla madre il grande direttore. Sì, proprio la madre e l’insegnante, Anna Pavlovna, che viaggiano al seguito di Kissin: a un passo dai quarant'anni ma con il volto un po' svagato dell'eterno ragazzo. Ha un gran temperamento romanticamente agitato, compensato (e forse complicato) da una cura quasi maniacale per l'ordine e senso della disciplina. La scuola Gnessin, per bimbi ultra dotati, ha lasciato insomma un segno indelebile su questo artista che avvicina il pianoforte con l'immancabile piglio militaresco e concede sorrisi col contagocce. Così come segue la ferrea regola di non concedere più di quaranta concerti l'anno. Non certo per ragioni scaramantiche. Più semplicemente, è consuetudine di Kissin tenere un recital ogni tre giorni. Perché non studia il primo giorno, mentre studia in modo indefesso il secondo, riservando al terzo la prova del pianoforte del recital. La sua giornata tipo, prima di un concerto, è esattamente questa: tre ore di studio fino alle due del pomeriggio, riposo, a teatro di nuovo un'ora prima dell'ingresso del pubblico in sala. Ed è proprio l'ora prima del concerto che Kissin sceglie uno dei due strumenti messi a disposizione.

Due strumenti? Sì, ma non è il capriccio della star, semmai la cura del dettaglio e la smania di perfezionismo e rigore del grande artista. Kissin tornerà a Milano in gennaio, ancora alla Scala, in una tournée che comprende anche Bologna e Roma.

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