Cina, scontri etnici con gli uighuri: 156 morti Napolitano a Hu Jintao: "Rispetto diritti umani"

Vittime e 800 feriti degli scontri etnici scoppiati nello Xinjiang: scontri tra la polizia e un migliaio di manifestanti di etnia Uighur, la minoranza di religione islamica. A Roma Napolitano incontra Hu Jintao. A Villa Madama l'incontro con Berlusconi

Cina, scontri etnici con gli uighuri: 156 morti 
Napolitano a Hu Jintao: "Rispetto diritti umani"

Pechino - E' di 156 vittime e oltre 800 feriti il nuovo bilancio delle violenze di ieri ad Urumqi, capitale della regione cinese del Xinjiang. Secondo l’agenzia ufficiale Nuova Cina, oltre un migliaio di manifestanti di etnia Uighur, minoranza di fede islamica, si sono scontrati con la polizia nella capitale provinciale, Urumqi: il corteo era stato organizzato per chiedere un’indagine ufficiale sulla morte di due operai, avvenuta dopo una rissa scoppiata in una fabbrica tra Uighur e cinesi.

Violenze etniche E' stato un massacro i cui contorni non sono ancora chiari: nelle violenze di ieri a Urumqi, nella regione cinese del Xinjiang, almeno 156 persone hanno perso la vita e più di 800 sono rimaste ferite. Centinaia gli arresti effettuati. I dirigenti del partito comunista cinese hanno indicato che si è trattato di una rivolta di grandi proporzioni. Le fonti hanno aggiunto che il bilancio delle vittime potrebbe ancora crescere. Nelle foto e nei filmati comparsi su internet a partire dalla notte scorsa, quando si è diffusa la notizia degli incidenti, si vedono civili sanguinanti e feriti ma nulla che lasci intuire le reali dimensioni della violenza.

Manifestazione "pacifica" Gli stessi gruppi di esuli uighuri, che hanno contatti con la popolazione del Xinjiang, hanno denunciato la repressione, affermando che la polizia cinese aveva aperto il fuoco su una manifestazione "pacifica", ma si sono finora limitati a parlare di un "numero imprecisato" di vittime. Nei suoi primi dispacci, Nuova Cina non precisa l’etnia delle vittime tra le quali, aveva affermato in precedenza, ci sarebbe almeno un agente della Polizia armata del popolo (Pap), il corpo paramilitare addetto al controllo dell’ordine pubblico. Gli incidenti sono stati innescati da una manifestazione di protesta per l’assassinio di due uighuri avvenuto il 26 giugno nel sud della Cina in scontri tra operai cinesi e uighuri nei quali due giovani della minoranza musulmana sono rimasti uccisi. Urumqi, una città di 2,3 milioni di abitanti, tremila chilometri a nordovest di Pechino, è la capitale della Regione Autonoma del Xinjiang. Gli uighuri, turcofoni e di religione musulmana, sono gli abitanti originari della regione, che chiamano Est Turkestan. Oggi gli uighuri rappresentano circa la metà dei 20 milioni di abitanti del Xinjiang, in gran parte immigrati da altre zone della Cina. 

Censurata la rete La censura stringe le maglie sullo Xinjiang: gli utenti di Internet a Urumqi non riescono a collegarsi alla rete. Dopo ore di scontri con la polizia, la protesta si è placata, ma alcuni carri armati sono rimasti in città. "Da ieri sera non posso connettermi online", ha spiegato il proprietario di un negozio di telefoni cellulari. "Qui non c’è internet, anche i miei amici mi hanno detto di non poter accedere alla rete".

La notizia dell’interruzione è stata diffusa anche dai social network come Twitter e i suoi concorrenti cinesi. "La diffusione di Internet a Urumqi è ancora bassa, ma qualcuno ha detto che sarebbe stata ripristinata nel giro di 48 ore", ha scritto un utente del sito fanfou.com.

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