La Cina sfrutta le miniere africane con il lavoro forzato dei detenuti

Almeno 50mila prigionieri politici o comuni costretti a estrarre oro in 549 giacimenti ghanesi. Un business da due miliardi a costo zero

Luigi Guelpa

Nonostante il Pil nel 2016 abbia fatto registrare un +8,6 per cento, non è tutto oro ciò che luccica nel Ghana. La nazione posizionata sulle cartine geografiche dalle performance dei suoi calciatori (come Asamoah, Muntari o Abedi Pelè), in realtà sull'oro galleggia. Peccato che i profitti delle miniere siano pari a zero, cannibalizzati dalla longa manu cinese, che si mette in tasca circa 2 miliardi di euro l'anno (l'8% della forza economica ghanese). Dal Paese della Grande Muraglia sono arrivati circa 50mila cercatori d'oro dall'inizio dell'anno. Un esercito di manovalanza a costo zero inviata da Pechino per estrarre il metallo prezioso. Lavoratori impiegati anche diciotto ore al giorno nelle 549 miniere artigianali, e spesso illegali, disseminate nell'ex colonia britannica. A buona parte dei cercatori d'oro non viene riconosciuto uno stipendio: sono quasi tutti prigionieri comuni o prigionieri politici, condannati alla catena perpetua, ed esportati per continuare a svolgere i lavori forzati dove l'economia cinese vanta un qualche interesse.

È l'altra faccia del made in China, quella che offre tecnologia e manodopera in Ghana, costruisce stadi in Angola, centrali elettriche in Guinea Equatoriale e autostrade in Tanzania, e in cambio ottiene il diritto d'esclusiva nello sfruttamento di qualsiasi materia prima. Uno sfruttamento che viaggia di pari passo all'invasione silenziosa e incalzante dell'Africa nera. Ci sono parecchie associazioni umanitarie che vorrebbero vederci chiaro sulle miniere del Ghana e sulla forma di schiavitù camuffata da contratto di lavoro. Alcune miniere sono diventate enclave cinesi, senza controllo da parte del governo di Accra. Zone dedite ai peggiori traffici, compresi quelli della droga e della prostituzione, un business nel business. Inoltre, l'utilizzo scriteriato del mercurio per l'estrazione dell'oro ha provocato l'inquinamento delle falde acquifere.

Pechino rispedisce al mittente critiche e accuse, continuando a flirtare con i suoi partner africani. Il Ghana potrebbe però a breve spezzare questa sorta di circolo vizioso. Almeno secondo le parole di uno dei tanti personaggi bizzarri del continente nero, l'attuale presidente della repubblica Nana Akufo Addo, che ha assunto il potere lo scorso 7 gennaio. Addo vorrebbe tagliare il cordone ombelicale con la Cina, per prendere le distanze dal suo predecessore John Mahama, fedele alleato di Xi Jinping, e privatizzare le miniere. Ha assicurato di potere risolvere tutto nello spazio di un anno. Il che significherebbe rispedire in Cina circa 400mila persone tra maestranze e lavoratori forzati, mandando all'aria tra l'altro una lunga serie di accordi economici con Pechino. Qualcosa del genere venne messo in atto una sola volta nella storia dell'Africa Nera: era il 1977 e il sanguinario presidente dell'Uganda Idi Amin Dada cacciò dal Paese tutte le forze lavoro straniere. L'Uganda venne travolta da una crisi economica devastante e Amin Dada costretto a riparare in Arabia Saudita dopo il colpo di stato perpetrato da Yusufu Lule.

Molto più prosaicamente Addo vorrebbe azzerare le ingerenze straniere non tanto per far crescere l'economia ghanese, la cui locomotiva viaggia a buon passo, ma per far fronte ai costi della pachidermica macchina statale. Il Ghana, che conta 25 milioni di abitanti, ha un governo composto da 97 ministri, 254 sottosegretari e quasi 500mila funzionari governativi che a vario titolo succhiano avidamente dalle floride (per il momento) mammelle delle casse statali. Controllare l'oro sarebbe di vitale importanza per mantenere a vita la corte dei miracoli (ovvero i collettori di voti per lo stesso Addo).

Lo scorso maggio il ministro delle Risorse naturali ha lanciato un ultimatum, dando tre settimane di tempo a tutti i minatori e alle aziende minerarie cinesi per lasciare il Ghana. A luglio non è cambiato nulla. Anzi soltanto nelle ultime settimane sarebbero entrate illegalmente almeno altre duemila persone. Nessuno le ha viste arrivare all'aeroporto di Accra, ma a quello di Lomè, in Togo, ottenendo alla dogana un visto turistico. Qualcuno potrebbe domandarsi come abbiano fatto a trasferirsi in Ghana. Semplice: Lomè capitale togolese, si trova per un terzo del territorio in... Ghana. Di frontiere quindi neanche a parlarne. La Cina da parte sua ha chiesto al presidente Addo di rivedere i suoi propositi bellicosi, offrendo 14 milioni di euro sull'unghia per irrorare le casse dello Stato e offrendosi di cofinanziare i recenti progetti della rete autostradale e ferroviaria per collegare Accra alle città di Kumasi e Tamale. Per la manovalanza di problemi non ce ne sono, fa sapere Pechino, le carceri funzionano meglio di un ufficio di collocamento. Non solo, la Cina vorrebbe diversificare gli investimenti, fino a controllare anche le coltivazioni di cacao. Una produzione senza precedenti, 820mila tonnellate, ha provocato il crollo dei prezzi, e per coprire la retribuzione agli agricoltori locali il governo ghanese dovrà attingere al fondo di stabilizzazione.

La Cina si è offerta di mettere mano al portafogli, anche per indebolire la concorrenza (in materia di cacao) della vicina Costa d'Avorio, che durante il braccio di ferro armato tra Gbabgo e Ouattara nel 2011 non aveva ceduto alle lusinghe di Hu Jintao.

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