Wakanda Forever, il secondo film dedicato a Black Panther dopo il successo mondiale di pubblico e di critica del primo, uscito nel 2018, è una scommessa vinta. Con questo non si intende che siamo di fronte a un’opera cinematografica degna di lode, ma che tra i titoli Marvel questo è uno dei più apprezzabili.
La scomparsa a soli 43 anni d’età dell’attore Chadwick Boseman, che interpretava il protagonista, oltre a scioccare milioni di fan, ha costituito una problematica narrativa non da poco nell’universo marveliano. Tra le varie strade ipotetiche per proseguire la saga, quella di sostituire l’interprete è sempre stata fuori questione: impossibile dal momento che Boseman era divenuto, a suo modo, il volto del riscatto per la popolazione afroamericana, un uomo-simbolo dall’importanza politica e culturale piuttosto complessa.
La scelta dunque di fondere racconto cinematografico e realtà è apparsa la più sensata: Chadwick Boseman è morto e, come lui, re T’Challa. Incorporando nella trama la tragedia della dipartita di un uomo, si tributa a lui un omaggio sentito e nobile, in cui il cordoglio provato nella dimensione reale e quello manifestato nella finzione su schermo si specchiano l’uno nell’altro e hanno un’unica eco.
Il film presenta titoli di testa interamente dedicati allo scomparso, cui segue una sequenza funebre in cui la tradizione rituale tribale si fonde al futurismo tecnologico e alla spiritualità senza tempo.
La principessa Shuri (Letizia Wright) è chiamata ad assumersi le responsabilità del proprio lignaggio: da genio hi-tech chiuso in laboratorio a creare l’armatura di vibranium e sfornare altri miracoli, dovrà ora affiancare sua madre, la regina Ramonda (una splendida Angela Bassett) sullo scacchiere politico. Wakanda, l’immaginaria super-nazione africana di cui sono reggenti, è ricca, potente e tecnologicamente all’avanguardia, nonché una sorta di guida illuminata per il resto del mondo, ma sono in molti ad attendere un momento di debolezza di questa città-stato. Ad un anno dalla morte di Black Panther le varie potenze mondiali si mostrano sempre più invadenti e disposte a qualsiasi cosa pur di ottenere le risorse minerarie da lui difese in vita.
Che non ci sia tempo per piangere ulteriormente il proprio monarca, figlio e fratello diventa evidente quando sopraggiungere un’ulteriore minaccia, costituita dal mutante Namor (Tenoch Huerta), a capo da secoli della civiltà subacquea di Talocan.
Armato di gravitas shakespeariana e del coinvolgimento emotivo derivato dalla valenza universale dei temi trattati, “Wakanda Forever” varca il confine dell’afrofuturismo e va oltre il sentimento dell’orgoglio nero. L’opera, che vede Ryan Coogler (“Creed”) dietro la macchina da presa e Letitia Wright come nuova eroina al centro della scena, è prima di tutto una profonda riflessione sulla morte e sull'eredità spirituale.
Percorso da emozioni dolenti dall’inizio alla fine, ovvero per la durata maestosa di quasi tre ore, il film dona uno sviluppo sensato a una storia che pareva compromessa e consacra il bisogno-dovere dell’essere umano di andare avanti superando il dolore. Elaborare il lutto è una necessità che può essere appagata solo attraverso un cammino interiore sofferto, il che configura come vero antagonista in “Wakanda Forever” non tanto il personaggio del villain bensì altro, ora il fato, ora i traumi connaturati all’esistenza.
Nella narrazione la dimensione sentimentale prende il sopravvento su quella action e, malgrado la parte centrale del racconto sia più ingombrante che incisiva, l’incipit e il finale sono senz’altro toccanti.
“Wakanda Forever” è più cose assieme: un sontuoso requiem, un intenso romanzo di formazione al femminile e
l’involontaria rappresentazione degli attuali scontri socio-politici che angosciano il mondo reale. Di sicuro un film meno dimenticabile di altri titoli Marvel, specie quelli devoti al farsesco tout-court.
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