“Holly” della regista belga Fien Troch e coprodotto dai Fratelli Dardenne, è stato presentato ieri sera in concorso alla Ottantesima Mostra del cinema di Venezia.
Giorni nostri. La quindicenne Holly vive con la sorella Dawn e con la mamma. Fuori casa invece si vede solo con Bart, un coetaneo forse con cenni di autismo e di sicuro vittima di bullismo. Un giorno Holly si sveglia, chiama a scuola e dice che non andrà perché ha un brutto presentimento. Poco dopo nell’istituto scoppia un incendio. Le vittime sono una decina. Dopo nove mesi di quei poveri ragazzi resta solo una specie di altarino in memoria nel corridoio studentesco. Le famiglie vengono invitate a superare il trauma attraverso alcune attività, in particolare una gita a cui Holly viene invitata a prendere parte come volontaria da un’insegnante, Anna. Quest’ultima resta colpita da come le persone a contatto con la ragazza si sentano sollevate. La voce che Holly abbia davvero qualcosa di speciale si diffondono. La comunità tenta di reagire di fronte a una perdita come può, quindi trova in lei una qualche forma di consolazione. Holly trasmette tranquillità, calore e speranza. Tutti iniziano a volerla incontrare per sentire l’energia catartica che emana. Sono disposti a pagare per farlo.
Realistico e concreto ma anche con l’allure di una fiaba cupa, “Holly” è un’opera sull’adolescenza e sulla scoperta del proprio ruolo e destino, ma anche un film interessato a raccontare i legami umani e la differenza tra la fede e la fiducia. Non solo. Il racconto verte su che cosa significhi essere buoni e si chiede se sia ancora autentico il bene quando comporta vantaggi o riconoscimenti sociali.
Nell’incipit Holly è trattata male dai compagni a scuola: nel migliore dei casi viene isolata, nel peggiore le viene dato della strega. Il pensiero va subito a “Carrie”, la trasposizione di Stephen King fatta da Brian De Palma, anche perché le musiche restituiscono da subito quella stessa atmosfera sinistra. Quanto alle sfumature esoteriche, emergono solo da qualche parola e dal fatto che Holly sorrida a volte allo specchio per pochi secondi, serafica ma senza un motivo evidente.
Il film non rivelerà mai fino in fondo se la ragazzina possieda davvero capacità extrasensoriali o meno o se sia semplicemente empatica a livelli così alti da saper lenire il dolore altrui. Di sicuro la quindicenne è a disagio un po’ per l’età e un po’ perché il mondo adulto inizia a nutrire delle aspettative particolari su di lei.
Chi è destinata a essere? Come assecondare il suo dono? E se invece che angelica la sua fosse una caratteristica demoniaca? Anche queste sono domande che attraversano silenziose il racconto.
Regia pulita, fotografia naturalistica, “Holly” gioca di sottrazione e perfino la protagonista parla poco e sottovoce. C'è molto di non detto nell'esplorare temi che vanno dall’egoismo umano fino ai misteri della fede.
Al bando ogni didascalismo molesto, “Holly” affida il suo significato a una scena finale in cui a parlare è una suggestiva cover di “The Power of Love” dei Frankie goes to Hollywood.Vale la pena interrogarsi sul potenziale nascosto dell’essere umano, ma ancora di più farlo su quello dell’amore.
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