Cinquant’anni fa Milano diceva addio al «Gamba de legn»

Così era chiamato il tram a vapore che collegava mezza Lombardia Diede slancio decisivo allo sviluppo dell’hinterland e del pendolarismo

È il pomeriggio del 31 agosto del 1957, mezzo secolo fa. Dalla rimessa del civico 33 di corso Vercelli esce sbuffando, in curva, un tram a vapore: è l’ultimo tram interurbano a vapore, ed è alla sua ultima corsa; collega Milano con Magenta, e da tutti è chiamato il «Gamba de legn». Sul corso lo attende una folla fitta, festosa e commossa. Qualcuno consegna un mazzo di fiori al macchinista, ci sono giornalisti, fotografi, i primi operatori della neonata televisione. La locomotiva, che trascina quattro carrozze gremite, lancia dei fischi, sbuffa, cigola, esita: poi lancia due nuvole di fumo e accelera, alla volta di Magenta. È il suo addio.
I milanesi amavano questo tram che aveva partecipato per ottant’anni, nelle gioie e nei dolori, alla storia della città. Durante la prima guerra mondiale - ricorda Francesco Ogliari nel suo libro «Dall’omnibus alla metropolitana», un «classico» dei trasporti - aveva portato lignite alla popolazione, trasportato soldati feriti e moribondi, salvato interi convogli; durante la seconda guerra - quando, in mancanza di carbone, nelle sue caldaie si bruciò di tutto, legna, stoppie, pannocchie - aveva permesso alla popolazione, arrampicata fin sui tetti delle carrozze, di rifugiarsi in località più sicure; nel 1943, dopo i bombardamenti più disastrosi, aveva rimorchiato le vetture tramviarie abbandonate sulle strade, per evitarne la completa distruzione. Tutti lo chiamavano affettuosamente Gamba de legn, ma nessuno sa con certezza perché: forse perché procedeva caracollando, come uno zoppo, oppure perché, in qualche incidente, aveva tagliato una gamba a qualcuno. Il tram per Magenta era l’unico ad avere un deposito centrale, in corso Vercelli appunto (oggi al suo posto c’è un condominio anni Cinquanta, e il civico 33 non esiste più: si salta dal 31 al 35); in città viaggiava a una velocità massima di 15 chilometri all’ora (come un tram odierno), ma nei tratti più pericolosi avanzava a passo d’uomo ed era preceduto da un addetto che segnalava il pericolo agitando una bandierina rossa.
Ma esso fu, soprattutto, uno straordinario fattore di progresso: con il Gamba de legn, intorno al 1880, nacque il trasporto interurbano leggero, e con esso ebbe impulso lo sviluppo urbanistico della provincia; il pendolarismo, ovvero la possibilità di vivere in luoghi più economici pur lavorando in città, divenne improvvisamente una possibilità reale.
Il Gamba de legn era una locomotiva a vapore come quelle ferroviarie, ma più piccola, leggera e versatile, capace di trainare un massimo di quattro, cinque vetture (passeggeri e merci) e in grado di effettuare anche curve strette. A Milano, nella seconda metà degli anni Settanta dell’Ottocento, una società belga venne a proporre il modello Krauss, una locomotiva di 4 metri, che s’impose per economicità e maneggevolezza. Si colse subito l’opportunità, come nel resto d’Europa, di collegare la città con i paesi. Non c’era diversità di scartamento con la ferrovia tradizionale (che in Italia era nata nel 1839, con la linea Napoli-Portici, seguita l’anno dopo dalla Milano-Monza), ma la vera differenza stava nell’assenza di un tender per acqua e carbone, che rendeva la macchina ferroviaria ben più impegnativa sotto il profilo della gestione. Il tram, che aveva un’autonomia massima di 80-100 chilometri, faceva semplicemente rifornimento al capolinea.
Il suo successo fu tale che tra il 1878 e il 1880 furono posate ben 12 linee di binari, per una rete di oltre 300 chilometri: lavori colossali a tempi di record. Furono collegate molte località, soprattutto a Nord di Milano: Desio, Carate, Monza, Bergamo, Gorgonzola, Vaprio, Gallarate, Saronno, Tradate, Magenta... «La città - osserva Ogliari - era costellata di tram a vapore». E non fu un fenomeno solo lombardo: in tutta Italia le locomotive Gamba de legn, nei vari modelli delle varie generazioni, raggiunsero un migliaio di esemplari. Nella sola Milano ce n’erano un centinaio. Lo sviluppo all’inizio del Novecento era tale che da Milano si poteva arrivare al Delta del Po, via Mantova, percorrendo le diverse tratte di Gamba de legn, connesse tra loro, e gestite dalle diverse società locali.
E poi, che cosa accadde? Il primo a soccombere fu il Milano-Saronno, nel 1925. «Fu soffocato dalle Ferrovie Nord», spiega Ogliari. Poi, tra il 1930 e il 1935, morirono un po’ tutti; il più longevo fu il Milano-Magenta, l’ultimo Gamba de legn milanese, al quale sopravvisse di un anno soltanto il Monza-Trezzo-Bergamo, che si arrese nel 1958. «In cinquant’anni - ammette Ogliari - era cambiato tutto.

I torpedoni su gomma rappresentavano il nuovo e offrivano il vantaggio di portare la gente fin sotto casa: allora non c’era il traffico di oggi né era avvertito il problema dell’inquinamento. Piero Puricelli aveva costruito la prima autostrada del mondo, la Milano-laghi, che apriva una nuova epoca di trasporti. Addolora dirlo, ma il vecchio, ondeggiante Gamba de legn non aveva ormai più senso!».

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