Gioia Locati
Attenti a quelle betulle. E a quei cipressi. Guardatevi dal piantare un ulivo in giardino: è senzaltro bello, trasmette serenità a guardarlo, ma se rientrate nel 30 per cento di popolazione allergica, vi farà perdere la pace per la vita. Occhi che bruciano, gola in fiamme, tosse persistente, raucedine, testa pesante e malessere diffuso.
Ci sono piante e arbusti che per molta gente rappresentano un veleno. Altro che aria ossigenata, i pollini colpiscono come proiettili invisibili, si infilano nel naso e irritano gola e polmoni. Nei casi più gravi provocano lasma. Perfino lerba tenera del prato, il soffice manto di margherite e fiori gialli (del tarassaco), può torturare le pelli più delicate provocando ponfi, rossori e pruriti. La città non protegge i suoi abitanti sofferenti, anzi. Chi respira una buona dose giornaliera di polveri sottili e ozono - a sentire gli esperti - si ritrova con le vie respiratorie più sensibili e, dunque, predisposte a non tollerare i pollini. E proprio per via del microclima urbano, progressivamente più caldo, la fioritura delle piante anticipa di anno in anno dilatando il periodo dei raffreddori da fieno. Insomma: Milano è una giungla. E la sua regina è lambrosia. Ovvero larbusto più tenace - difficile da sradicare - e terribile per gli effetti devastanti che provoca nelle persone allergiche. Chi lha provata la teme come un fungo velenoso: infiammazioni agli occhi, tosse persistente e nella metà dei casi, asma sicura. Da una decina danni imperversa in città, affonda le sue radici soprattutto nella zona nord, Busto Arsizio, Legnano, Magenta e ovunque ci sia un terreno non coltivato.
Originaria delle Americhe e importata ai primi del Novecento con i semi del foraggio a tuttoggi pare invincibile. Asl e comuni stanno ancora cercando il modo migliore per farla fuori. Ma una regina non governa sola.
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