da Roma
È vero che gli slogan restano decisamente aggressivi, tanto che dalle parti di San Babila sventolava ieri un improbabile «Montalcini fai in fretta che cè Biagi che taspetta». Ma va pur detto che il Carroccio degli anni Duemila si sta lentamente affrancando dai tempi del celodurismo. Un po perché non solo lItalia ma pure il resto dellEuropa si è andato lentamente leghizzando (nel senso che le primitive istanze dellAlberto da Giussano hanno preso pian piano piede), al punto che - racconta Roberto Maroni - pure «Sarkozy è arrivato a ipotizzare lesame preventivo del Dna per gli immigrati che entrano in Francia». Un po perché anche il Carroccio è andato cambiano faccia e affinando i suoi strumenti. Così, dagli anni in cui gli strali leghisti finivano nel mirino del procuratore capo di Verona Guido Papalia (con tanto di condanne) ora siamo al punto che il pm di Padova Pietro Calogero è costretto ad archiviare i sindaci padani che han deciso di risolvere da soli la questione immigrazione. Per dirla con le parole di Luca Zaia, giovane vicepresidente del Veneto, «lo spirito rivoluzionario è quello di sempre», solo che oggi «invece di fare la battaglia con la clava preferiamo usare la fibra ottica».
Il tutto, ovviamente, senza rinnegare i bei tempi andati. Perché, spiega Zaia, «venti anni fa parlare di federalismo equivaleva ad essere xenofobi, mentre oggi significa essere allavanguardia». Insomma, anni duri gli Ottanta e i Novanta. Quando Umberto Bossi passava le giornate a dipingere i muri delle autostrade del Nord con il fortunatissimo «Roma ladrona». E quando prometteva pallottole ai magistrati, proprio nei giorni in cui i Serenissimi assaltavano San Marco e la magistratura indagava sulle Guardie padane, considerate alla stregua di un esercito golpista. Daltra parte, chiosa ancora Zaia, «se non hai neanche un amministratore locale ci sta che ti incateni per strada pur di far parlare di te». Ne sa qualcosa uno come Calderoli che qualche tempo fa non ha fatto mistero della sua abitudine ad alzare i toni: «Solo così il teatrino della politica ti dà retta...».
Però, qualcosa nella Lega è cambiato. Perché, spiega un altro giovane, il vicecapogruppo alla Camera Roberto Cota, «la nostra classe dirigente si è decisamente affinata». Merito «soprattutto di Bossi», che mentre lanciava i suoi strali ai quattro venti, in Lega ha sempre fatto rispettare la regola doro: avanti i giovani, solo se leghisti doc e meglio se laureati. Tanto che prima dello scompenso cardiaco del 2003 fece approvare dal Consiglio federale una mozione che attribuiva un bonus del 20% dei voti agli under 35 candidati alle segreterie provinciali. E la strada tracciata è stata seguita con cura se, spiega Paolo Grimoldi, «non da oggi» alla Camera la Lega vanta il gruppo parlamentare «più giovane». Parola di uno che oltre a fare il deputato è pure coordinatore dellMgp, il movimento dei giovani padani. E infatti su 22 deputati cè un solo over 60, tre over 50 (tra cui il capogruppo Maroni) e due over 45. I due vicepresidenti, Cota e Andrea Gibelli, sono appena quarantenni. Seguiti da una lunga schiera di trentacinquenni, alcuni anche noti agli schermi tv come la responsabile Giustizia del partito Carolina Lussana. Che, guarda un po, è pure laureata in giurisprudenza.
E già, perché laltra mossa vincente del Carroccio del Duemila è stata quella di selezionare una classe dirigente preparata. O dalla lunga militanza politica (che, spiega Cota, «ti insegna a scrivere unordinanza come si deve») o dalluniversità.
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