Come è noto a ogni cultore dellopera montaliana, lidentità anagrafica di colei che ne fu a lungo la principale ispiratrice - il poeta le dette il mitologico nome di Clizia - è stata svelata relativamente tardi. Era uninsegnante americana, Irma Brandeis: studiosa di Dante e del nostro medioevo, trovandosi a Firenze nel 1933, volle conoscere lautore di un libro di versi che le era singolarmente piaciuto: Ossi di seppia. Montale dirigeva il Gabinetto Vieusseux, prestigiosa istituzione della cultura cittadina. Tra la ventottenne Irma e il poeta, di nove anni più anziano, scoccò la scintilla di un amore che, se diede estro e materia durevoli alla poesia (da Le occasioni a La bufera e anche oltre), suscitò e tuttora suscita interesse non per il deplorevole gusto dellindiscrezione ma per quello che dal «vissuto» filtra nella poesia. Molto, a riguardo, hanno spiegato le Lettere a Clizia, edite due anni fa da Rosanna Bettarini per Mondadori: un carteggio peraltro dimezzato, mancandovi le lettere a riscontro, quelle di pugno di Irma: probabilmente distrutte per odio e gelosia dallaltra - Drusilla ovvero Mosca -, presso la quale e con la quale il poeta già nel 33, allaccendersi della nuova passione, viveva.
Scrivendo a Montale, ora sul registro della speranza (lei cercava di procurargli un degno lavoro a New York), ora di un disilluso realismo, Irma chiarisce bene la propria indole, nel mentre ci schiude decisivi spiragli su quella dellamato: volitivo ma non troppo, impigliato in una ragnatela a cui sta facendo il callo. E oggi Jean Cook, amica ed «esecutrice letteraria» di Irma, ne integra limmagine trascegliendo una serie di suoi passi diaristici ed epistolari, i più antichi addirittura del 1922. A Balerna, Canton Ticino, esce Irma Brandeis (1905-1990). Una musa di Montale, a cura e con un saggio di Marco Sonzogni (Edizioni Ulivo, pagg. 166, euro 17). Levidenza del richiamo a Montale è, in parte, unesca pubblicitaria, perché il poeta ligure non entra in questo zibaldone, ovviamente, prima del 33, quando Irma può annotare: «Ma ciò che è accaduto questa estate dovrebbe essere ricordato nel nome di Eugenio Montale». Sùbito sotto, lavviso della morte (un incidente stradale a Santa Fe), di Leo Ferrero, giovane di grande ingegno e divenutole talmente caro che per poco Irma non rompeva la collaudata relazione con Gino Bigongiari, suo professore, di ventanni più vecchio di lei. Proprio dalle lettere a Gino si ricavano brani di sconcertante sincerità, fitti di referti e di autoreferti spietati. Autrice di saggi e di racconti, Irma non seppe ultimare il romanzo in cui fin dalla giovinezza desiderava concentrare ed esplicare il proprio talento inventivo. Non meno franta e incompiuta la trama dei suoi affetti umani, Montale a parte: se finalmente - nel 37 -, progettato di sposare un altro dei suoi ex professori, Nicholas Kaltchas, se lo vide morire alla vigilia delle nozze.
Di ascendenza per tre quarti ebraica, Irma si angoscia osservando lEuropa avvicinarsi al baratro della guerra. Tra poco, la fantasia montaliana assegnerà a Irma-Clizia un ruolo cosmico, di salvatrice di unintera civiltà minacciata. Il libro odierno, pur così, allapparenza, privato nei suoi impulsi amorosi ed estetici, non è affatto cieco alle notizie del mondo. Fra laltro Irma viaggia, è di casa sui transatlantici. Bei ritratti, di lei e dei familiari, degli amici, professori e non, formano una galleria perfino imponente; ma basta appena addentrarcisi, ed ecco i segni di unaffabile aneddotica: le sigarette e le ambitissime albicocche secche, le puntine per il grammofono e il mobilio della stanza fiorentina di Costa San Giorgio...
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