Avrebbe compiuto 20 anni fra due settimane. Avrebbe sognato le prossime Olimpiadi ad ogni gara per cui si allenava con impegno. È morta così, Matilde Lorenzi, in una gelida mattina di allenamento. L'impatto del volto con la neve non le ha lasciato scampo. Le telecamere della val Senales hanno ripreso quegli attimi all'Oetzi Peak, fra le 9.40 e le 9.50 di due giorni fa.
Matilde incrocia gli sci, sbatte di faccia sulla neve, uno sci si stacca e lei scivola nella neve riportata. L'elicottero arriva in 20 minuti, la giovane viene intubata e non riprenderà mai più conoscenza: elitrasportata, operata d'urgenza, i medici del San Martino di Bolzano hanno provato ogni strada. Ma Matilde era già altrove, mentre tutta la squadra attendeva e pregava per lei, stringendosi accanto ai familiari arrivati dal Piemonte. Il ghiacciaio della Val Senales intanto resta la solita selva di pali rossi e blu: in questa stagione molte squadre rifiniscono sulle onde di neve. Lassù, ad oltre 3mila metri, non si fa velocità che per Matilde campionessa italiana di superG in carica - era pane quotidiano. In val Senales «si gira» soprattutto in gigante che, secondo la regola aurea dello sciatore, è alla base di tutto. Per questo in pista non ci sono le tipiche reti arancio o blu che si vedono nelle gare veloci di Coppa.
Inutile quindi puntare il dito contro presunte falle nella sicurezza: la procura altoatesina ha già escluso responsabilità penali per quanto accaduto, rilasciando il nulla osta ai funerali che saranno domani a Giaveno, nel torinese. In una pista da sci, però, una cosa non manca mai: è la neve che, a quelle quote, in questa stagione, è semplicemente dura come cemento, anche dove non è fresata. Il contatto in velocità non è mai banale. Matilde aveva il casco, ovvio. Gli sciatori non possono usare una protezione «integrale» che impedisca una visuale laterale. Il peso, inoltre, di un casco come quello da moto, rilascerebbe, delle sollecitazioni sul corpo che sarebbero più controproducenti dei vantaggi. Semplicemente lo sci «Non sarà mai uno sport a rischio zero, anche se la ricerca negli ultimi anni ha introdotto, per esempio, gli air bag»: lo ha messo nero su bianco ieri Isolde Kostner, una delle prime campionesse a esprimere il dolore per la morte della giovanissima collega. Per Sofia Goggia serve «Una preghiera in un giorno orribile». Per Flavio Roda, presidente della Fisi così come per il sindaco di Sestriere, dove Lorenzi era di casa, si tratta di «Una perdita straziante».
Arriva anche il cordoglio del Quirinale per l'atleta in forze nell'Esercito e descritta dal caporale del centro sportivo di Courmayeur, Patrick Farcoz, come «Una leader». Per le amiche e colleghe della squadra Junior Lorenzi era «Mati»: «La miglior amica che potessi avere», ricorda Carlotta De Leonardis. La modenese non era con la squadra per un problema alla caviglia: «Si parlava di sicurezza, ma è il nostro lavoro: ci si scambiava uno sguardo e poi si apriva il cancelletto per farlo al meglio». Lorenzi non è purtroppo l'unica vittima di una gara sugli sci: il suo incidente in allenamento richiama la morte di David Poisson (bronzo mondiale in libera nel 2013), nel 2017 a Nakiska in Canada, uno dei centri principe per gli allenamenti in velocità. Aveva sbattuto il volto, ma su una fotocellula del cronometro senza protezioni, Ulrike Maier, morta, in diretta davanti alla figlia bambina, nel superG di Garmisch Partenkirchen.
Era il 1994, 30 anni fa che sono una vita rispetto ai passi in avanti compiuti verso la sicurezza in pista. A febbraio saranno, invece, 40 anni dalla morte di Leonardo David, rimasto in coma fin dal 1979, dopo una caduta in discesa durante un allenamento a Cortina: dalle prime analisi non si rilevarono i gravi traumi che aveva riportato, al punto che il campione della valanga Azzurra partì per gli Usa, disputò la libera di Lake Placid, accasciandosi sul traguardo, senza mai riprendersi.
«Lei è il mio gigante buono e vivrà dentro di me, con tanti progetti», ha sussurrato la sorella Lucrezia Lorenzi, atleta di coppa del Mondo che insieme a papà Adolfo e mamma Elena hanno chiesto, come primo gesto amore, ricordo e donazioni da investire nella ricerca per la sicurezza in pista con un nuovo progetto dedicato alla nostra «Matildina», campionessa per sempre.
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