Il commento Se cinquanta persone bloccano una città

(...)l’8 marzo per uno «sciopero generale» a sostegno delle donne, ma anche «contro il federalismo e la secessione», per «respingere ancora una volta i tagli gelminiani», e - già che ci siamo - per «difendere le energie eco-compatibili», dato che «il governo distrugge le possibilità di energie alternative, eoliche e solari, le sole che ci possono garantire il futuro, uno ragione in più per scioperare l’8 marzo». Che non c’entra un granché con l’8 marzo e la scuola, ma allunga il brodo di una piattaforma - per usare un arcaismo sindacale - fin troppo variegata. E ha funzionato, il pout-puorri della rivendicazione? Macché. Erano meno di cinquanta. Eppure sono bastati.
Non tanto a risvegliare le coscienze - che forse, è preferibile che ognuno si svegli da sè - quanto a chiedersi ancora una volta quale diritto vada tutelato, se quello delle minoranze o quello dei molti (nello specifico, di tutti quelli che a causa della protesta sono rimasti bloccati in auto a scomodare i santi). Di entrambi, è l’ovvia risposta. Ma è ovvia, appunto, e perciò troppo semplice. E allora è possibile che stia alle minoranze domandarsi fino a che punto è giusto imporre le proprie ragioni, e se non sia più opportuno tarare le rivendicazioni sulle reali dimensioni della propria forza. Attenzione, non i contenuti della protesta (comunque legittimi, in democrazia ed entro i limiti della democrazia), ma le modalità. In cinquanta volevano manifestare per le donne, contro il federalismo la secessione la Gelmini il governo, per le energie rinnovabili? Avanti. Ma perché non farlo con un sit-in, un banchetto, un gazebo che non causa disagi al resto del mondo, inclusi quanti condividono le ragioni della manifestazione? Perché non organizzare lezioni pomeridiane (il Sisa è pur sempre un sindacato della scuola) o dibattiti? Perché - è la risposta d’ordinanza - uno sciopero deve creare disagi per essere visibile. Ma ancora una volta, ci sono cortei e cortei. Non è il Maggio francese. Non è la marcia dei 40mila colletti bianchi di Torino. Non sono i 250mila che seguirono il funerale di Guido Rossa.

Erano forse in cinquanta, da Largo Cairoli e giù per via Cusani, attraverso via Broletto, piazza Cordusio e piazza Duomo, fino in piazza Fontana. Gli stessi che annunciano «una rinnovata primavera di lotta». Facciano due conti. Costi e benefici. Se questo è il seguito, l’autunno arriverà presto.
Enrico Lagattolla

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