Arrivare a compiere i propri sessant'anni in polizia non è una cosa da tutti, soprattutto se la vita ti ha segnato come è accaduto al commissario Franco Bordelli. Dopo averne viste e sofferte tante il personaggio creato da Marco Vichi vorrebbe semplicemente godersi la pensione in pace, sparire, poter vivere isolato in campagna in compagnia della natura e di qualche buon libro. Ma l'inattività non fa certo per lui, così come l'attesa e quindi lo ritroviamo mentre si rigira meditabondo nel letto di casa sua all'inizio di quella che potrebbe essere davvero la sua ultima avventura: «Gli mancavano nove giorni alla pensione, e ancora non riusciva a immaginare come si sarebbe sentito. Cosa avrebbe fatto la mattina del tre aprile, invece di andare in ufficio? Se non succedeva più nulla, se nessuno si prendeva la briga di uccidere, il sano omicidio di Novoli sarebbe stato il suo ultimo caso... La gelosia, un coltello, un impeto di rabbia, niente a che vedere con l'omicidio del Conte Alderigo, pura e inutile violenza... Be', se davvero per quegli ultimi nove giorni non accadeva nulla... Ci avrebbe messo la firma, non voleva rischiare di lasciarsi alle spalle un caso non risolto. Gli sarebbe piaciuto oltrepassare senza amarezza il compleanno dei suoi sessant'anni, anche se non lo avrebbe festeggiato con la torta e le candeline. Anzi aveva già fissato una cena con i soliti amici per il giorno successivo, il tre di aprile».
Quelle cene da tempo sono un modo per lui per confrontarsi con gli amici e raccontare storie di varia umanità. Ma prima di potersi godere quella cena dovrà occuparsi di un caso che lo porterà ancora a mettere in gioco il suo senso di giustizia. A pochi chilometri da casa sua, lungo il greto di un fiume, a Passo dei Pecorai viene trovato il corpo di una ragazza morta. Nessuno ne ha denunciato la scomparsa e non ha addosso documenti che la possano identificare. Bordelli si trova inevitabilmente a pensare: «L'anno prima Diletta, venticinque anni, violentata e uccisa, e adesso questa ragazza, forse ancora più giovane, forse anche lei ammazzata. Sembrava quasi una vendetta, come se le sacrosante nuove libertà che le donne stavano cercando faticosamente di conquistare, in un modo o nell'altro dovessero essere pagate a caro prezzo...».
Da quelle parti già nel 1933 c'era stato un terribile delitto che aveva qualcosa di diabolico nella sua messa in scena e la gente da tempo sostiene che la zona sia maledetta ma il commissario Bordelli come il prete don Gallori è convinto che il demonio non c'entri niente in quella faccenda, perché «in quanto a crudeltà, il diavolo in confronto all'uomo è un novellino». Per far luce sul caso il poliziotto chiede ai suoi uomini di perlustrare la zona e al giornalista Mattei, direttore della Nazione, domanda di mettere una lunga didascalia sotto il disegno raffigurante la morta, una richiesta di aiuto per chi possa dargli notizie sull'uccisa, un messaggio a chi poteva conoscerla ma anche a chi l'ha uccisa, un testo breve in cui «non vuole spiegare nulla di più, preferisce lasciare quella morte avvolta dalla nebbia». Perché lui ne è cosciente: «Se non saltava fuori qualcosa, sarebbe stata davvero dura arrivare in fondo a quella storia. Bordelli era amareggiato, prima di tutto per la morte di quella bellissima ragazza, ma poi... a una settimana dalla pensione era difficile non pensare che per lui sarebbe stato l'ultimo caso, e forse non avrebbe fatto in tempo a venirne a capo».
Ma Bordelli non è un uomo che si ferma davanti a tragedie del genere, non è uno che scantona e Marco Vichi riesce a riraccontarcelo con freschezza nonostante siano ormai diciannove anni che è il biografo delle sue peripezie.
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