"Il Comune usa Mahsa come icona femminista. Ma va difeso un popolo"

La dissidente Tabrizi critica la demagogia di Palazzo Marino: "Per contrastare il regime serve l'appoggio delle istituzioni"

"Il Comune usa Mahsa come icona femminista. Ma va difeso un popolo"
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Milano non dimentica l'oppressione del popolo iraniano da parte del regime degli Ayatollah. Venerdì scorso la città non si è mostrata indifferente di fronte alla manifestazione indetta dagli attivisti iraniani in piazza XXV aprile per ricordare le vittime del massacro di Zahedan, città del sud dell'Iran in cui un anno fa morirono 123 persone uccise dalla polizia mentre protestavano contro lo stupro di una bambina. Una distesa di candele ha ricoperto la piazza insieme alle foto degli innocenti scomparsi quel giorno, ricordati dai compatrioti trapiantati a Milano.

Si è trattata anche di un'occasione per tenere vivo l'interesse sulla rivoluzione «Donna Vita Libertà» che, dodici mesi dopo la scioccante morte della ragazza curda Mahsa Amini, prosegue senza sosta. «Khamenei assassino», hanno urlato i manifestanti davanti agli occhi dei milanesi sensibili alla causa dei dissidenti che chiedono a gran voce la fine della dittatura in vigore da quarantaquattro anni. L'obiettivo del movimento infatti è il rovesciamento della Repubblica islamica, come spiega l'attivista Rayhane Tabrizi, tra gli organizzatori dell'iniziativa e ospite della Statale all'ultima cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico, durante il quale ha pronunciato un appassionante discorso sulla tragica condizione del popolo iraniano.

«Noi chiediamo di chiudere qualsiasi rapporto economico e limitare al minimo le relazioni politiche e diplomatiche con il regime», rivela Tabrizi, dal 2008 residente nel capoluogo meneghino dove lavora come manager per una multinazionale. Una missione resa però difficile dalla presenza tentacolare del governo di Teheran, coinvolto in azioni di proselitismo all'estero. «In Italia spiega l'attivista ci sono dei centri culturali dove girano tanti soldi e sono pericolosi. Lì capita di vedere una marea di ragazzi di India e Bangladesh a cui viene fatto il lavaggio del cervello per convertirsi allo sciismo. Si infiltrano alle nostre manifestazioni, infatti noi siamo tutti schedati, ma ci sentiamo abbastanza tranquilli e protetti perché segnaliamo subito qualsiasi persona alla polizia».

Abbattere il regime da fuori non è semplice, per questo il supporto delle istituzioni è vitale. «In Italia gli organi con cui collaboriamo ci danno tanto sostegno», ammette Tabrizi. «A Milano però il Comune ci ha delusi perché dopo un anno ha appeso uno stendardo su Palazzo Marino con lo slogan sbagliato Donne Vita Libertà (scritto al plurale) e ha diffuso un comunicato stampa femminista, ma non ha capito che questa rivoluzione non riguarda soltanto le donne. Gli iraniani non stanno dando la vita per togliersi il velo, quello è ridicolo.

Avevamo chiesto di appendere uno striscione a nostre spese. Bastava soltanto l'approvazione del sindaco, che però non c'è stata».

Sogna di tornare a casa? «Non vedo l'ora, ma non posso. Se tornassi verrei arrestata in aeroporto e portata via».

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