Condannate all’ingrasso: in Mauritania piacciono solamente se sono obese

Abbuffate come oche da fois gras, costrette a rimangiarsi il proprio vomito, trasformate da bimbe innocenti in pingui, obese balene da marito. In Mauritania lo chiamano “leblouh”, significa ingrassamento forzato e sembrava una pratica del passato. Il golpe di agosto, la destituzione del presidente, la salita al potere della giunta militare del generale Mohammed Ould Abdelaziz, hanno riportato in auge l’antico orrore e nelle campagne migliaia di ragazzine sono di nuovo in balia di spietate matrone “sovra misura” specialiste dell’alimentazione forzata. «Nel nostro paese lo spazio di una donna nel cuore del marito equivale alle sue dimensioni, ma il “leblouh”, sembrava una pratica da dimenticare... pochi mesi fa avevamo un ministero per gli affari femminili, alle donne era garantito il venti per cento dei seggi parlamentari e molte di noi erano diventate governatori o diplomatici, con i militari siamo sprofondate nel passato», racconta Mint Ely, attivista di un’associazione per la difesa delle donne.
Da quel passato è riemersa anche la tradizione pre coloniale ereditata assieme all’islam dagli arabi mori. Come Aisha e le altre mogli bimbe del profeta Maometto, la perfetta sposa mauritana ha dai sei ai dodici anni, ma per poter sperare nel migliore dei partiti deve prima trasformarsi in carne, anzi grasso, da marito. Se l’età è scritta nel Corano, l’abbondanza è figlia del Sahara.«“Le mogli degli uomini più importanti non uscivano mai dalla tenda per evitare le dure condizioni del deserto e passavano le giornate mangiando e dormendo: per questo - spiega il professore di storia Mohammed Salem - l’obesità era simbolo d’importanza e di bellezza». Fuori dalle città gli antichi canoni non sono mai scomparsi e da quando i militari hanno allentato i controlli, le megere “supersize” specialiste dell’ingrasso hanno ripreso ad allevare bimbe da matrimonio. Il segreto è tutto nella dieta e nelle botte. Per trasformare una fanciullina di sei anni in un balenottero extra large, le matrone le rimpinzano con due chili di miglio battuto al giorno, le lubrificano con due tazze di burro e le innaffiano con venti litri di latte di cammella. Ma non è solo questione di quantità. Per permettere al grasso di infarcire quei corpi flessuosi le megere spezzano a colpi di bastone i muscoli di cosce e natiche. Quando lo stomaco non ce la fa più e le povere bimbe sono costrette a vomitare, lo stesso bastone le convince a leccare il pavimento e reingurgitare tutto fino all’ultima goccia.
Hoda, una donna oggi 35enne passata per gli orrori del “leblouh” a soli otto anni, ricorda ancora la crudeltà della sua allevatrice. «Mi colpiva con il bastone non appena capiva che stavo per vomitare, mi infilava la testa in un catino con cinque litri di latte, non me la faceva tirare su fin quando non l’avevo finito e lo stomaco mi sembrava scoppiare». Selma, un’altra vittima di quel supplizio, ricorda le matrona che la perseguitava: «"Mangia o non troverai mai chi ti sposa", ripeteva, e ogni volta mi colpiva».


Per le più testarde, per quelle che s’ostinano a non obbedire c’è invece la punizione dello “zayar” due pezzi di legno stretti attorno alle dita del piede e pronti a schiacciarle in un’insopportabile morsa al primo segno di rifiuto. I risultati con questi metodi non mancano. In pochi mesi una ragazzina di dodici anni può superare gli ottanta chili e acquisire le mostruose forme di un’ obesa e sfatta trentenne.

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