Consigli per non scrivere un grandissimo romanzo

Un manuale vorrebbe spiegare agli autori esordienti gli errori da non commettere. Ma finisce per bocciare Proust e Cervantes

Le scuole calcio non insegnano a diventare Rivera o Messi, ma a tentare di diventare calciatori normali. E le scuole di scrittura non insegnano a diventare Dostoevskij o Stendhal, ma a tentare di diventare scrittori normali. Tuttavia è un fatto che i ragazzini, giocando a pallone in cortile o all’oratorio, imitavano Rivera e imitano Messi, non Anquilletti o Gattuso. E gli «scrittori in erba», quando scrivono, pensano a Dostoevskij e Stendhal, non a Sandro Veronesi o a Federico Moccia.

«Scrittori in erba» l’abbiamo messa fra virgolette non per vezzo luogocomunista, ma perché è fra le espressioni più ricorrenti in un saggio-manuale il cui titolo strizza l’occhio al potenziale lettore-aspirante scrittore: Come non scrivere un romanzo (Corbaccio, pagg. 220, euro 18,60), firmato da Howard Mittelmark e Sandra Newman. Il primo è un editor, cioè uno di quei maestrini dalla penna rossa e blu che promuovono o bocciano gli esaminandi per conto delle case editrici, la seconda è soprattutto un’autrice la quale, firmando su Harper’s e Granta, ha ormai messo... la penna al caldo. Il sottotitolo è ancor più ruffiano: Una guida per evitare i 200 errori più comuni. Se siano davvero 200, non l’abbiamo verificato, certo sono molti gli errori che commette chi, inseguendo il miraggio del nuovo Delitto e castigo e della nuova Certosa di Parma, alla fine deve ammettere d’aver prodotto un brogliaccio slegato, incoerente, noioso e senza capo né coda. E le lezioncine dei liberi docenti Mittelmark e Newman, i quali non resistono alla tentazione di fare le battute, proprio come i professori dei quali allo studente avvertito conviene diffidare, li elencano puntualmente con tanto di esempi evidenziati in grassetto. Che i due, illustrando che cosa non fare, finissero per suggerire che cosa fare era ovvio, quindi prevedibile. Invece l’aspetto curioso è un altro: proprio non rispettando i divieti tassativi elencati nel loro saggio sono nati alcuni grandi libri. Dal vademecum della coppia Mittelmark-Newman abbiamo estratto dieci comandamenti. Eccoli, accostati ai... colpevoli di averli infranti:

1. «Evitare di scrivere scene nelle quali il personaggio ricorda o rimugina sul proprio passato e basta». A chi ha orecchie per intendere, suona perfettamente come l’anti-spot della Recherche. Soltanto che sotto quell’«e basta», Proust costruisce un mondo capovolto, ma pur sempre un mondo. Non è poco.

2. «Mai rassicurare il lettore, mai fargli credere che tutto si risolverà per il meglio». Però, sfidate voi stessi a non innamorarvi delle storie della Mille e una notte. Se ci riuscite, meritate di fare (virtualmente, certo) la fine delle altre mogli del re persiano Shahriyar il quale, rapito, pende dalle labbra di Sharazad.

3. «In un romanzo ben scritto, l’autore si sforza di trovare un equilibrio tra verosimiglianza e caso». Questa raccontatela a Cervantes e al suo Don Chisciotte...

4. «Si può uccidere qualsiasi scena descrivendo le azioni di un personaggio nei loro dettagli più insignificanti». E adesso provate a buttare nel cestino La casa delle belle addormentate di Kawabata dove, sul collo di una giovane vergine, il vecchio Eguchi fantastica per giorni e giorni.

5. «Se avete intenzione d’introdurre una venatura ultraterrena, fantastica o fantascientifica, sarebbe una buona idea non aspettare le ultime venti pagine per farlo». Dante si è messo in moto prima delle ultime venti pagine, ma il Paradiso della sua Commedia, tutto sommato, non sfigura di fronte a Twilight. O no?

6. «Le descrizioni da commissariato di polizia saranno accolte in genere dal lettore come se sulla pagina ci fosse scritto: “Horace era un uomo. Aveva due gambe, due braccia e una testa”». E l’asetticità metafisica di Kafka? E gli schizzi fulminanti di Gogol’? Classici esempi di come il poco possa dire molto, e di come un personaggio possa essere tale a tutti gli effetti anche indossando l’uniforme dell’anonimato.

7. «A meno che non siano funzionali alla trama, non c’è bisogno di conoscere tutti i parenti della protagonista». Volete tagliare 300 pagine da I Buddenbrook? Pensateci bene, prima di farlo, pensateci mille e una volta. Poi andate davanti allo specchio e sputatevi in faccia (questa volta non virtualmente).

8. «Molti... sono convinti che, per scrivere bene, si debba solo far uso di parole perse nelle lande più remote della lingua». Tuttavia, quando la forma, per quanto barocca, ricercata, persino ostica diventa contenuto, non sarebbe saggio gettare, insieme al bambino, anche l’acqua sporca. In proposito, Gadda avrebbe qualcosa da dire...

9. «È improbabile che il passeggero che siede accanto a noi sul tram cominci, di punto in bianco, a raccontarci della sua infanzia infelice, della madre alcolizzata e del suo alluce valgo». Magari «di punto in bianco» no, però dopo una breve introduzione fatta di convenevoli, eccome se succede. E, quando si è molto fortunati, va a finire che uno dei passeggeri, non di un tram, ma di un treno, ci racconti una storia tipo Sonata a Kreutzer.

10. «Una caratteristica comune a quasi tutti i manoscritti che restano inediti è una selvaggia sproporzione tra introspezione e azione, a tutto vantaggio della prima». In effetti, il Dottor S. pubblica soltanto «per vendetta» le memorie del suo paziente Zeno Cosini. Si direbbe un caso di Coscienza...

Insomma, se non siete un grande scrittore (o non credete di esserlo), leggete Come non scrivere un romanzo come se fosse un romanzo. Se invece pensate di esserlo... leggetelo come un testo comico, sul tipo di Tutte le barzellette su Totti.

In entrambi i casi, ricordate che nessuno scrittore, immenso o mediocre che sia, è solo. «Scrivendo - afferma Cechov - faccio pieno assegnamento sul lettore, nella presunzione che aggiungerà da sé gli elementi che mancano nel racconto». Questa sì è una lezione.

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