La Consulta annulla la legge che vieta di processare gli assolti

Dichiarato illegittimo l’articolo 1 della «Pecorella»: i Pm potranno fare appello contro le sentenze di proscioglimento. Valanghe di ricorsi in arrivo nei tribunali. Berlusconi: «Non siamo una democrazia»

La Consulta annulla la legge che vieta di processare gli assolti

da Milano

La Consulta colpisce al cuore la legge Pecorella e restituisce al Pm il potere che il legislatore gli aveva tolto meno di un anno fa. Ora il pubblico ministero potrà di nuovo proporre appello contro le sentenze di proscioglimento. La norma, che portava il nome dell’avvocato di Forza Italia, aveva infatti introdotto un nuovo sistema: in caso di assoluzione alla fine del processo di primo grado, l’accusa poteva giocare soltanto la carta della Cassazione e l’appello poteva essere proposto solo dalla parte civile, ai fini del risarcimento. Ora si ritorna alla situazione precedente: appello anche quando il primo round è stato vinto dall’imputato. Non solo, dopo aver dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della norma, la Consulta smantella anche l’articolo 10 che estendeva la Pecorella pure ai dibattimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della legge (9 marzo 2006).
Di fatto, la diga costruita a protezione degli imputati dichiarati innocenti in Tribunale crolla e presto le corti d’appello saranno invase dai ricorsi dei Pm. È facile pensare che molti procedimenti già fissati, o sul punto di esserlo, in Cassazione torneranno come i gamberi in appello. Una previsione che riguarda, fra gli altri, lo stralcio del processo Sme contro il premier Silvio Berlusconi: nell’aprile scorso i giudici di Milano avevano respinto l’eccezione di legittimità costituzionale presentata dal sostituto procuratore generale Piero De Petris, perché ritenuta infondata e avevano lasciato il boccino alla Suprema corte.
Dunque, si ritorna al sistema che migliaia e migliaia di italiani hanno pagato sulla loro pelle con interminabili, sfibranti e spesso surreali altalene di verdetti: assoluzione, condanna, assoluzione. E proprio Silvio Berlusconi esprime un giudizio durissimo sulla decisione della Consulta: «Questa sentenza ci riporta indietro nel tempo e ci conferma che la Consulta e tutte le istituzioni sono in mano alla sinistra che fa quello che vuole. Non siamo in una vera e piena democrazia». Più tecnico, ma non meno affilato, il parere di Gaetano Pecorella, il padre della norma: «Una sentenza grave perché permette ad un Pm di continuare a perseguitare un cittadino benché un tribunale lo abbia già giudicato innocente. Torneremo così ad avere dei processi in cui conterà più la carta scritta in grado di appello che non il contraddittorio orale». Questo perché normalmente, l’appello si svolge sulle carte senza risentire tutti i protagonisti già ascoltati in aula in primo grado. Ancor più drastico l’ex Guardasigilli Roberto Castelli: «È una sconfitta per il cittadino. Pensiamo ad un innocente che adesso dovrà penare 10-15 anni prima che venga riconosciuta la sua innocenza».
Di tutt’altro tenore i commenti dalle parti dell’Unione. Esulta Antonio Di Pietro: «La legge Pecorella era l’ennesima vergogna che limitava l’iter giudiziario per consentire a qualcuno di farla franca». Ignazio Juan Patrone, segretario generale di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe italiane, si spinge addirittura oltre: «Ora speriamo che il legislatore prenda il coraggio a due mani e voglia immediatamente abrogare la legge ex Cirielli». Ma per Franco Coppi, uno dei più noti penalisti italiani, c’è poco da festeggiare: «La Pecorella era sensata per due ragioni: perché i processi si trascinano a lungo, con indicibili sofferenze, e poi perché il giusto processo ci dice che una persona può essere condannata solo se sia stata accertata la sua colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. Mi chiedo come questa certezza assoluta sia compatibile con un’assoluzione».

In ogni caso, il Ministro della giustizia Clemente Mastella si prepara al domani: «Sulla Pecorella erano emersi rilievi considerati non validi dalla maggioranza di allora ma considerati validi dalla Corte. Noi faremo le nostre valutazioni e ci adegueremo alla scelta della Consulta».

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