Contro le manette Vip e i pacchi dei giudici

Ha ragione Caselli. Da qualche tempo lo trascuriamo. Ma non si può negare che, lungi dallo sperare di avere agito per convinzione e responsabilità individuale, noi, e cioè quelli che lui chiama «i veri Vespa, Sgarbi, Liguori e Jannuzzi», l’abbiamo ricondotto a una maggiore prudenza nel trattare le persone non come colpevoli e innocenti, criminali e onesti, ma come esseri umani nei confronti dei quali, oltre al rischio dell’errore, occorre considerare anche la umana fraternità. Nella sua convinta esibizione di superiorità morale Caselli ha manifestato un certo razzismo, e un sicuro disprezzo per la loro condizione umana, disponendo di un potere diseguale, che a quasi nessuno è concesso: quello di limitarne la libertà, di chiederne, e quasi sempre ottenere, gli arresti. Alla lunga deve aver capito.
Ed è per questo che, non avendo nulla contro di lui né come buona persona né come magistrato, quando non travalica, per presunzione di colpa, il rispetto della dignità delle persone, abbiamo smesso di occuparcene. E lui soffre, s’interroga, confessa di non capire perché tutti contro Ingroia e Spataro (non io; non so i miei «simili» Vespa, Liguori e Jannuzzi) e non più contro di lui. Forse ha sbagliato qualcosa? «Perché questi due (onesti, capaci e coraggiosi) sono stati attaccati e io no? Se loro sono nel mirino perché fanno il loro dovere, e lo fanno bene, vuol dire che io il mio dovere non lo so fare?». Nella sua egolatria Caselli chiama «proprio dovere» arrestare o incriminare persone che poi si riveleranno innocenti. Così lui ha fatto con Musotto, Andreotti, Calogero Mannino, il maresciallo Lombardo, il giudice Lombardini. Con diversi risultati di mortificazione (per loro), ingiusta carcerazione, suicidi e, piena soddisfazione per Caselli indisponibile credo a riconoscere l’errore. Ma, a lungo andare, trasferito da Palermo a Torino, il logorio delle nostre parole deve averlo fatto prudente. Per cui, nella sua giurisdizione, a giudicare dagli arresti mancati, non ci sono più criminali. A forza di ricordargli il suicidio di Lombardini, di cui egli non è responsabile, certamente, ma che c’è stato, le assoluzioni di Musotto e Andreotti (nonostante la consolazione della prescrizione), l’innocenza di Calogero Mannino (tenuto in galera per circa tre anni), Caselli è diventato più gentile, più discreto. Forse, dal suo punto di vista, non fa più il «proprio dovere». E così tocca ad altri.
A Milano si arrestano Rosanna Gariboldi, mandando un avviso al vicecoordinatore nazionale del Popolo della libertà, Giancarlo Abelli, suo marito; e Piergianni Prosperini, rozzo e rumoroso propagandista che avrebbe fatto favori in cambio di spot. In Campania si ottiene l’esilio di Sandra Lonardi Mastella che, come osserva con finezza Marco Travaglio, è «confinata nell’esilio romano da quando i giudici di Napoli hanno disposto di non farla avvicinare alla sua regione, onde evitare che faccia altri danni». Misura strana, potendo telefonare e, in tal modo, proseguire la sua attività criminale. Non dev’essere una buona cosa passare il Natale forzatamente lontano da casa; e, ancor peggio, in carcere. Se le accuse dovessero riconoscersi infondate, come è accaduto recentemente in Sicilia per due «temporaneamente» associati alla mafia come Vito Turano e Bartolo Pellegrino, cosa pagherebbero i magistrati che li hanno perseguiti, anzi, perseguitati? E cosa ha pagato il pm De Pasquale per non aver interrogato per più di un mese, Gabriele Cagliari che si è ucciso in carcere? Sono certo che la Gariboldi e Prosperini e anche Sandra Mastella non saranno presi dallo sconforto, sapendo che qualcuno dubita della loro colpevolezza ribadita con prosa sgrammaticata da gip come Fabrizio D’Arcangelo, convinto della «particolare fraudolenza delle condotte realizzate» (sic!). E però ne possiamo comprendere la pena conservando il sospetto che il carcere sia usato come tortura, come ha scritto su queste pagine Renato Farina.
E non so se a consolarli potrà servire l’articolo dello stesso giornalista di due giorni prima: «Il vero Natale? Si trova solo in galera».

Un articolo profondamente cristiano che, in attesa che Farina si metta d’accordo con se stesso, potrà consentire a Prosperini e alla Gariboldi di interpretare il carcere come cristiana penitenza, come espiazione in attesa della redenzione. Come noi auguriamo loro con la legittima aspettativa, visti i precedenti, che sia così. E con la benedizione del «pentito» Caselli.

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