Contro la rete del terrorismo ancora valida la dottrina Bush

Il dibattito sul libro di Magdi Allam Viva Israele e sul documento contro Allam sottoscritto da duecento intellettuali merita ancora qualche riflessione. In Viva Israele Allam attacca gli ambienti universitari che si occupano di islam come «collusi con un’ideologia di morte», citando anche un paio di esempi con tanto di nome e cognome. L’appello contro Allam nasce in ambienti dell’Università Cattolica di Milano - dove insegna uno dei docenti attaccati dal giornalista - ed è un perfetto esempio di ideologia cattolico-democratica.
Come ieri gli eredi di Dossetti tentavano di separare il mondo cattolico dall’abbraccio, ritenuto foriero di ingiustizie sociali, con l’idea di Occidente e con gli Stati Uniti adottando un atteggiamento sorridente con il comunismo, così oggi quegli stessi intellettuali cattolico-democratici esprimono il loro anti-americanismo mostrando indulgenza, se non simpatia, verso il fondamentalismo islamico.
Eppure il manifesto che critica Allam è stato firmato anche da persone le cui origini culturali sono del tutto diverse. Basti citare il giornalista Camille Eid, le cui denunce del terrorismo e della persecuzione dei cristiani in terra islamica non sono meno forti di quelle di Allam. Due problemi importanti emergono da questa controversia. Il primo riguarda il rapporto fra islam e democrazia. Dopo l’11 settembre il presidente Bush ha lanciato il progetto del «Grande Medio Oriente», la cui tesi di fondo è che i paesi islamici democratici non sono necessariamente filo-occidentali ma sono meno pericolosi delle dittature militari. La principale teorica di questa posizione, Condi Rice, è poi diventata segretario di Stato degli Stati Uniti. La vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi, quella di Erdogan in Turchia e quella probabile in Marocco di una formazione dell’islam politico hanno fatto venire dubbi a molti, fra cui Magdi Allam, sulla saggezza di questa strategia.
Il secondo riguarda la distinzione fra i fondamentalisti (come la direzione dei Fratelli Musulmani) che ammettono l’uso del terrorismo solo nel contesto palestinese e gli ultra-fondamentalisti (come Al Qaida) che giustificano e organizzano il terrorismo in tutto il mondo. Allam ha ragione nel ricordarci che Al Qaida è nata da una costola dei Fratelli Musulmani e se si apre la porta al terrorismo nel caso di Israele si rischia poi di giustificarlo ovunque. Ma è ragionevole anche la scelta di Condi Rice di profittare delle divisioni interne dei Fratelli Musulmani lasciando che la diplomazia americana apra un discreto dialogo con il gruppo detto «centro» (Wasat). La Rice è consapevole dell’ambiguità di questo gruppo, ma confida che la dinamica che si è messa in moto generi ulteriori divisioni e forse faccia emergere interlocutori presentabili.


Personalmente credo che la strategia del «Grande Medio Oriente» resti valida, e che mentre nel caso di Hamas le elezioni sono state avvelenate perché si sono tenute in uno Stato che ancora non c’è, altrove - dalla Turchia al Marocco - il voto non va sempre come ci piace, ma rispetto alle dittature e ai colpi di Stato crea in effetti un contesto meno favorevole al terrorismo internazionale. Sostenere questa seconda posizione non significa essere «collusi con un’ideologia di morte», anche se criticarla - come fa Allam - resta ugualmente legittimo.

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