Il corpo di ballo della Scala a Istanbul la città che fa «cose turche» con la cultura

IstanbulLa tigre celtica getta la spugna. Ma avanza, o meglio galoppa, l’anatolica con una crescita del pil pari all’11,7%. Le industrie tricolori hanno colto l’occasione al volo, e pare stiano facendo proprio cose turche nel Paese fatto di picchi di ricchezze e povertà, in altalena fra Asia ed Europa. Industrie di tutti i tipi, anche culturali. Perché ai Turchi, dell’Italia, piace tanto il nostro petrolio ultra-raffinato, la cultura. Del resto, qui le dinastie potenti, insomma gli Agnelli di turno (oltre che d’un tempo), con la cultura ci vanno a nozze, a dire il vero gareggiano a colpi di cultura. Un tycoon fonda un’università, quell’altro risponde con un mega museo oppure lancia e finanzia fino all’ultimo centesimo un’orchestra, come la Filarmonica Borusan di Istanbul, complesso che, come gli Ottomani dei tempi d’oro, di recente si è spinta fino alle porte di Vienna, con un concerto nella musicalissima Salisburgo.
La Koc dinasty, i Paperoni numero uno della Turchia, sintetizza il concetto di voracità culturale con la propria amma di musei, università, case editrici e corollari. Sì, proprio la Koc con la quale UniCredit, primo gruppo creditizio europeo, nel 2005 ha stretto una forte alleanza radicandosi ulteriormente sul territorio. E così, anche Unicredit ha fatto cose turche qui, nella Istanbul capitale europea della cultura. Ha portato la mostra che debuttò nell’autunno 2009 a Vienna e passò per Verona, Past Present Future (allestita fino al 7 gennaio), esponendo 90 opere della collezione del Gruppo, che per la verità di gioielli del tipo ne ha 60mila. Il 10 dicembre, invece, fa sbarcare la mostra The New Italian Design, una versione ampliata dell’esposizione che esordì alla Triennale di Milano nel 2007. E soprattutto, giovedì ha portato a Istanbul il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala (del quale sostiene le tournée all’estero), al suo debutto nella città. In scena, il Pink Floyd Ballet, lo spettacolo rock del coreografo Roland Petit che disegnò questo balletto nel lontano 1972 con musica live dei Pink Floyd. Alla Scala il balletto s’era visto l’anno scorso: successo e promozione immediata a prodotto di felice esportazione (a Lubiana, Atene ed ora Istanbul). I Pink Floyd sulle punte sono piaciuti a Istanbul, vedi applausometro, il bis, e progetti di ritorno, come ci anticipa il direttore della compagnia Makhar Vaziev.
Tanto fermento culturale e le modalità di fermentazioni sollecitano una domanda.

In epoca di crisi nazionale e globale, in una fase di tagli alla cultura e di collassi pompeiani, per il sostegno alla cultura qual è la strada? Quella turca o americana del privato che investe sulla cultura sostituendosi al pubblico? «Il modello americano è incompatibile con le esigenze del nostro Paese, l’Italia ha un bagaglio culturale talmente enorme che non possiamo pensare che possa essere sostenuto in toto dal privato», taglia corto Antonella Massari, responsabile dell’Identità e Comunicazione di Unicredit. Anche perché il privato sceglie, e se può punta sull’eccellenza che – in tema di musica-balletto – in Italia risponde al marchio Scala. «Noi non sponsorizziamo a pioggia, seguiamo linee guida e obiettivi ben chiari».

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