Così la Moratti diventò "suor Letizia"

Mostre contestate, visioni contrastanti della politica, idee diverse sull’Expo, fantasia contro burocrazia. Ecco i retroscena dello scontro fra il sindaco di Milano e il suo ex assessore alla Cultura. L'intervista al critico d'arte: "In lei c'è un po' di me e un po' di Albertini"

Così la Moratti diventò "suor Letizia"

Milano - Il sindaco Letizia Moratti si permette di dire che la mostra «Vade retro, arte e omosessualità» (siamo nell’estate 2007, ndr) è brutta: ho iniziato a fare politica molto prima della Moratti e so che non spetta a un politico, ma nemmeno al critico, giudicare l’arte in relazione a presunti valori. La mostra non feriva i valori di nessuno, non diversamente dalle immagini dell’inferno negli affreschi delle chiese. La sensibilità, il gusto, la raffinatezza degli omosessuali non vanno confusi con le indicazioni della moda. La Moratti, insomma, non doveva rimediare a nessun vizio di origine, che non c’era. Se la sua è un’estetica dell’Ottocento va bene, ma non la imponga a tutti. L’arte del Novecento è una continua provocazione, da Duchamp a Manzoni. Non si permetta di dare lezioni d’arte a me.

Sono particolarmente colpito perché la mostra per metà è mia, nel senso che io ho inserito una serie di presenze del tutto peregrine rispetto alla costruzione contemporaneistica di Eugenio Viola, come Leonor Fini con il Principe Hassan (1951), il ritratto straordinario di un principe arabo omosessuale che sembra una Gioconda al maschile, e il barone von Gloeden che, per divertimento, avrei proposto per una mostra monografica. Che ho realizzato, ottenendo che almeno su von Gloeden ci fosse un atteggiamento non di censura. Per un’altra stagione ho proposto anche Pierre et Gilles. Il percorso della mostra, nella prima parte, governata da me, vedeva appunto autori assolutamente imprevisti e sconosciuti a molti, anche a Viola, come il pittore sardo Brancaleone da Romana, che rivela un amore, una sensualità, una sensibilità sottile, intima e intimistica, «larvatamente» omosessuale, anche se non abbiamo notizia della sua omosessualità. Mi interessavano il clima, l’atmosfera, le spiagge delle opere meravigliose di Willy Varlin, e poi soprattutto la forza cromatica di Giovanni Testori, in opere di ispirazione dichiaratamente omosessuale, e poi c’era un meraviglioso ragazzo di Aron Demetz, che cade immediatamente sotto la censura della Moratti, perché bambini e soggetti religiosi vengono banditi, secondo un principio che sembra essere «scherza con i fanti, ma lascia stare i santi».

Insomma, arricchisco la rassegna, anche nella fase più avanzata, delle sculture di Eugenio Baroni, di ispirazione michelangiolesca, il Davide di Guglielmo Janni, il Vir temporis act di Wildt. Sono pronto a difendere la mostra sul piano estetico, sia nella leggerezza armoniosa delle scelte delle opere degli ultimi trent’anni fatta da Viola, sia nella scelta della prima parte del secolo fatta da me, e nell’allestimento. La mostra funzionava, infatti, come mi è stato confermato anche da persone che l’avevano vista.

Il 14 luglio davanti a Palazzo della Ragione viene organizzato un sit-in di protesta contro il Sindaco, che viene fischiato anche in serata al concerto di Giovanni Allevi in piazza Duomo. Per la Moratti la mostra si sarebbe potuta svolgere, una volta eliminate le immagini sacre, blasfeme e minori.

A queste continue censure legate prevalentemente a soggetti religiosi si aggiunge l’assurda richiesta della Moratti di togliere dal catalogo anche le immagini di riferimento, non quindi quelle delle opere esposte, ma i minimali con cui si fanno i confronti, con Caravaggio, Antonello da Messina o Mantegna, perché riferite a temi religiosi, san Sebastiano in primis.

La partita è assolutamente impossibile da giocare sul piano etico, perché alimentata dalla volontà, da parte del Sindaco, di rappresentare l’aspetto più ridicolo del potere. Mi dispiace di essere contemporaneamente dentro e fuori - dentro perché io stesso vittima, fuori perché era l’unico modo per salvare la faccia, come infatti è accaduto, uscendo da questa ridicola vicenda come eroe del mondo gay e della libertà dì pensiero, figura che non avevo ricercato -. Ero profondamente amareggiato per la figuraccia di Milano e della Moratti, mi sentivo responsabile anche del suo errore, pur essendone immune.

Il contrasto con la Moratti si fa radicale, quasi come se io fossi all’opposizione - ed è qui che nasce la denominazione feroce di «Suor Letizia», con cui cerco di dare un significato ironico a questa censura.

Della contraddizione entro cui annaspa Suor Letizia si rende conto anche il capogruppo di Forza Italia, Gallera: «La Moratti - commenta il 15 luglio - non ha saputo gestire al meglio la situazione: prima ha dato semaforo verde alla mostra, poi ha disposto la censura di una decina di opere, tra cui quelle dedicate a san Sebastiano, le più significative in catalogo».

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