Era già stato accusato di omicidio volontario e condannato a 22 anni di reclusione: avrebbe nascosto la propria sieropositività alla compagna, trasmettendole la malattia che la portò alla morte nel 2017, a 45 anni. Per una condanna che, a circa un biennio dell'annullamento del primo procedimento, è stata tuttavia confermata nelle scorse ore: Luigi De Domenico è stato condannato anche in appello. Questi, stando a quel che riporta il quotidiano La Gazzetta del Sud, gli ultimi sviluppi del processo bis al cosiddetto "untore".
Per una vicenda svoltasi a Messina che risale a quasi due lustri fa: l'uomo, che oggi ha 59 anni, era stato processato con l'accusa di aver provocato il decesso della compagna, un'avvocatessa messinese, non dicendole di essere sieropositivo e contagiandola. Stando a quanto ricostruito, lui non le avrebbe rivelato di avere l'Hiv nemmeno quando emerse la sieropositività della compagna.
Quest'ultima morì alla fine di Aids e non ebbe la possibilità di curarsi, perché non era, a quanto sembra, conoscenza della malattia: i medici non l'avrebbero riconosciuta e la donna morì fra atroci sofferenze, senza che il compagno le rivelasse mai la verità. Un primo verdetto era stato emesso qualche anno fa: De Domenico venne condannato, ma la sentenza è poi stata annullata in appello sul finire del 2022 sulla base di un cavillo legale, perché alcuni dei giudici che componevano la corte erano ultrasessantacinquenni.
Una problematica superata peraltro da un pronunciamento della Cassazione, che ha deciso infatti come il limite anagrafico in questione per i giurati che compongono le corti d'Assise debba essere rispettato solo al momento della designazione. Si era quindi aperto un nuovo processo, che già lo scorso giugno aveva visto i giudici siciliani condannare l'imputato a 22 anni. Per una sentenza che è stata a quanto pare confermata anche adesso.
"Gioire per la condanna di un essere umano non è nelle nostre corde. L’esito di questo processo, per quanto ci riguarda, era più che scontato e da diverso tempo - hanno commentato i legali della famiglia della vittima, Bonaventura Candido ed Elena Montalbano - registriamo una decisione che rende giustizia alla memoria di una collega consumata da un virus trasmessole dal suo ex-compagno che non ha mostrato mai, neppure dopo la sua morte, alcuna resipiscenza". Una storia che potrebbe però non essere del tutto chiusa.
"A prescindere dalla sentenza, restano comunque sul campo il figlio, la sorella ed i genitori il cui straziante dolore non potrà essere lenito neanche da questa ennesima condanna - hanno chiosato gli avvocati Candido e Montalbano - sappiamo bene che all’imputato è, giustamente, garantito un terzo grado di giudizio. Che siamo già pronti ad affrontare senza alcun timore che l’odierno esito possa essere sovvertito".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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